Interventi, Materiali
Per festeggiare il compleanno di Pietro Ingrao il Crs propone come tema il titolo di un libro di poesie dello stesso Ingrao, pubblicato nel 1994: «L’alta febbre del fare».

Aggiungendo: democrazia e lavoro nel nuovo secolo. Democrazia e lavoro sembravano essersi fuse nella Repubblica democratica fondata sul lavoro. Oggi tornano a disgiungersi. C’è chi, in questi giorni, cerca di affermare che il lavoro può essere distaccato dai diritti che sono un «di più» di cui, nella crisi, si «deve» fare a meno. Che tendenze repressive del lavoro sarebbero tornate a farsi forti, la Costituzione lo temeva. Quel che poteva fare era dire un «no», fondato sull’esperienza della forza distruttiva (della nazione) che quelle tendenze portano con sé.

La parola «lavoro» ricorre diciannove volte nella Costituzione, e nove volte è declinata la parola «lavoratore». Che cos’è il lavoro su cui si fonda la Repubblica? Si possono dare due risposte. Per la prima, il lavoro è il lavoro salariato: quell’attività dalla quale la gran parte dei cittadini trae i mezzi per il proprio sostentamento. Per la seconda, il lavoro è ogni attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società. È evidente che in questa seconda lettura i confini del concetto si slabbrano, e abbracciano le attività e le condizioni economico-sociali più diverse. Queste due concezioni non vanno contrapposte per escluderne l’una in favore dell’altra: si può benissimo ammettere che la Costituzione consenta una doppia lettura. Dalla definizione più generale discende un principio di «uguale protezione» per tutti i lavori, che quindi devono essere sottoposti al principio di uguaglianza. Così come il principio di uguaglianza deve dominare la disciplina delle relazioni familiari, o di quelle politiche, così deve dominare quella delle relazioni lavorative. Sarebbe già molto.

L’altra lettura considera invece il lavoro come attività cui deve essere assicurata «elevazione economica e sociale» (art. 46), stante la condizione di strutturale disuguaglianza in cui si trovano i lavoratori. La normativa costituzionale consisterebbe dunque nella obbligatorietà di politiche disuguali con finalità risarcitorie. La forza di questo obbligo è affidata alla Costituzione materiale,cioè alle forze politico-sociali-culturali in grado di difendere la Costituzione con la mobilitazione politica. Ma si tratta della difesa di un interesse di parte? È solo una componente della Costituzione materiale chiamata a farsene carico? Le Costituzioni come sistemi normativi lanciati sul futuro hanno come compito primario quello di preservare la «nazione», di impedire l’autodistruzione del sistema e arginare possibili danni ai suoi ambienti sociali.

La Costituzione è, da questo punto di vista, l’insieme dei divieti verso sviluppi possibili dell’ordinamento, già conosciuti e sperimentati come distruttivi e soprattutto come autodistruttivi dell’intero sistema. Di fronte all’avanzare di un potere non più etno-politico, ma globale-economico, esercitato senza controlli e in forma oligarchica, che svuota i poteri degli Stati e la democrazia, è questo profilo della Costituzione che viene in evidenza (innanzi tutto contro i «portatori» interni di quel potere). Perché si abbia una Costituzione è necessario non solo che le diverse parti politiche abbiano sottoposto ad armistizio i conflitti interni, ma che abbiano consapevolezza che questi conflitti configurano sviluppi autodistruttivi attualmente possibili.

Per questo la Costituzione stabilisce dei divieti nei confronti di possibili tendenze repressive del lavoro, considerate sempre latenti e sempre pericolose; la tutela del lavoro salariato va intesa non come la cristallizzazione di una forma di produzione storicamente determinata, ma come l’acuta consapevolezza della persistenza di tendenze oligarchiche che, mirando allo schiacciamento del lavoro salariato, si sono dimostrate distruttrici dell’intero ordine sociale. Una visione non edulcorata della Costituzione deve sapervi leggere non solo promesse per il futuro, ma richiami a rischi gravi. Restando chiaro che la Costituzione non è un pezzo di carta, ma è l’organizzazione materiale della quale le forze del lavoro devono saper essere parte determinante. Nel momento in cui il mondo del lavoro cessa di essere un fenomeno socialmente identificabile sul piano culturale-morale-organizzativo non riesce più a esser parte della Costituzione materiale. E dunque non riesce più a «costituzionalizzare» il conflitto impedendo la prevalenza di forze di schiacciamento del lavoro. A questo punto le disposizioni costituzionali sul lavoro diventano menzogne.

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