Intervento al convegno “Ripensare la cultura politica della sinistra” Roma, 7-8 novembre 2013
Premessa. Il deprimente spettacolo che il Partito democratico sta mettendo in scena in queste settimane sollecita amare riflessioni su chi ha guidato fin qui, e chi aspira a guidare in avvenire, quel partito. In realtà, il Pd riflette unicamente lo stato in cui è ridotto il paese, le cui classi dirigenti paiono non aver altra idea che quella di sottometterlo a un lugubre percorso penitenziale nel quale dissiperà le sue energie residue.
Le ragioni del presente stato di cose sono risalenti e complesse. Dove tuttavia ciò che bisogna assolutamente evitare è di colpevolizzare gli italiani, indicando nella cosiddetta cultura politica nazionale, e nella cura ossessiva del particulare che la caratterizzerebbe, la ragione ultima delle attuali difficoltà. L’Italia è un paese composito, fatto di campanili, municipi, corporazioni, confraternite, cosche. Ma chi ha fallito nel suo compito è la classe dirigente, politica, economica, intellettuale, che, sistematasi in capo al paese, ne ha dettato i destini compiendo troppo spesso scelte finalizzate unicamente a riprodurre la propria condizione.
L’estrema beffa sarebbe attribuire ogni responsabilità agli elettori e alle loro scelte malaccorte. Gli elettori razionali sono una discutibile finzione della teoria. Quelli reali scelgono quel che fa sceglier loro la propria storia personale, l’educazione, il contesto sociale e culturale in cui si muovono, l’azione promozionale svolta dai partiti e dalle altre agenzie ufficiali e ufficiose, formali e informali, che ai partiti si affiancano.
Non è affatto secondario neppure il ruolo che esercitano le regole che presiedono allo svolgimento delle operazioni di voto, le quali non sono mai adottate alla luce di una qualche superiore razionalità, o di un qualche criterio di moralità e giustizia, bensì unicamente sulla base dei criteri di convenienza di questa o quella forza politica. La terribile – unica al mondo – legislazione elettorale che è toccata agli italiani, prima con la legge Mattarella, poi con la legge Calderoli, non è la causa di tutti i mali. Ma tra le ragioni dell’attuale malessere rientrano le modalità della fuoruscita dal regime disegnato dai costituenti per approdare, a qualsiasi costo, a una democrazia cosiddetta dell’alternanza, della leadership, bipolare o maggioritaria, che dir si voglia.
Le ragioni di una fuoruscita dal modello precedente c’erano tutte. Il decennio del pentapartito è stato una triste stagione di declino. Se non che, la fuoruscita in questione è risultata un disastro. Voluta promettendo la rigenerazione politica, morale, economica del paese, è stata, né poteva essere altrimenti, condizionata dalle convenienze e dai calcoli degli attori, senza valutare adeguatamente il contesto in cui la si stava conducendo. L’Italia per decenni è stata governata strumentalizzando la sua frammentazione, politicamente temperata dalla presenza di un forte partito cattolico-democratico e da un forte partito comunista. Quando il tempo – e gli errori – hanno cominciato a corrodere tali strutture portanti, era un’illusione aspettarsi che lo sgangherato anatroccolo multipartitico si trasformasse in un elegante cigno bipolare. I cigni per prima cosa non esistono. Non è successo, non poteva dunque succedere, e il collasso della Democrazia cristiana ha fatto anzi emergere dai retrobottega moderati una classe dirigente di infima levatura, che l’ha sistematicamente saccheggiato il paese, mentre – nell’ipotesi più favorevole – le forze d’opposizione sono rimaste paralizzate. Che non sia ora di ripensarci? Ecco perciò otto argomenti contro il maggioritario e la reductio ad duo che esso comporta.
Primo argomento. Il maggioritario è fallito. Dobbiamo rassegnarci. Venivamo da una situazione di grave difficoltà, di declino economico, civile, morale del paese, ma vent’anni dopo la situazione non è migliorata neanche un po’. Il declino economico, civile, morale del paese s’è aggravato enormemente. La lotta politica si è imbarbarita. Siamo frastornati da insulti, ricatti, volgarità. E siamo sottomessi a governi tanto arroganti quanto inefficienti. Non inefficienti per tutti, giacché i governi di centrodestra sono stati efficientissimi nel curare gli interessi privati dei governanti e dei loro amici (talvolta, ahimè, l’hanno fatto pure i governi di centrosinistra, che hanno interrotto la continuità del ventennio). Tenuto conto tuttavia del fatto che, in virtù dell’operato dei governi Berlusconi, il governo del paese è oggidì consegnato alle istituzioni di Bruxelles, Francoforte e Berlino, occorrerebbe esser ciechi per negare l’inefficienza di tali governi. È ben nota la replica dei tifosi del maggioritario. Il maggioritario all’italiana è mal congegnato e non è maggioritario abbastanza. Che i governi solidi e stabili siano preferibili ai governi deboli e instabili è un’affermazione lapalissiana. Ma solidità e stabilità non si conseguono per legge, né il maggioritario è il solo modo per averle. Berlusconi ha potuto disporre della maggioranza parlamentare più ampia che si sia costituita in centocinquant’anni di storia nazionale. La sua performance è stata indecorosa. Peraltro: cosa sarebbe accaduto se la marcia dei suoi governi non fosse stata frenata dai capricci dei vari Casini, Bossi, Tremonti e Fini? Gli sciocchi gli rimproverano le sue promesse non mantenute. Ove le avesse mantenute, cosa ne sarebbe di questo sventurato paese?
Secondo argomento. Il maggioritario in Italia è fallito a tutti i livelli. Meglio. Non è andato granché nemmeno a livello locale., sebbene qualcuno pretenda che il sindaco d’Italia sia il modello da adottare. Lì dove c’erano strutture amministrative discrete, l’elezione diretta del sindaco ha funzionato discretamente. Dove tali strutture erano scadenti, la situazione è peggiorata e di parecchio. A esser onesti, occorre distinguere tra amministrazioni di centrodestra e amministrazioni di centrosinistra. Le seconde sono state senz’altro meglio delle prime. Ma se una regione, una provincia o un comune, magari nel Mezzogiorno, ha avuto la sfortuna di finire nelle mani di un’amministrazione di centrodestra, i danni che ha subito li pagherà per generazioni. E sono danni, purtroppo, che ricadranno su tutto il paese. Il che è capitato pure a qualche amministrazione del centro nord. Lasciamo perdere Milano. Un comune di più che discrete tradizioni amministrative come quello di Alessandria ha subito l’onta del dissesto, da cui si riprenderà chissà quando.
Terzo argomento. Il maggioritario non funziona granché neanche a livello internazionale. Ovvero, i tempi non sono propizi ai cosiddetti leader: la capacità di governo di Hollande è modestissima, lo era quella di Sarkozy e pure quella di Chirac. La presidenza Obama è impantanata. Il governo Cameron è un governo in negativo: disfa e non agisce (benché pure disfare sia un modo di agire…). La signora Merkel è ostaggio dei suoi alleati bavaresi, che le hanno imposto d’imporre a mezza Europa un’austerità dissennata. L’uomo solo al comando è un’immagine suggestiva, ma l’uomo solo al comando è spesso impotente. Di per sé il maggioritario non offre garanzie di efficacia. Quando ha funzionato, c’è riuscito perché chi governava aveva alle sue spalle una robusta macchina del consenso. Che non era personale, ma andava al progetto politico: è stato il caso del New Deal o delle riforme laburiste degli anni 40. La forza dei governi maggioritari è una fiaba.
Quarto argomento. Il maggioritario inquina l’azione di governo e peggiora la moralità pubblica. Quando la dialettica è bipolare, il rischio di esclusione, seppur ciclica, dall’esercizio del potere costituisce un incentivo possente non solo alle politiche demagogiche e particolaristiche, ma anche all’uso distorto delle risorse pubbliche e alla corruzione. Ovunque i partiti si sono arciprotetti dalla sconfitta elettorale tramite il finanziamento pubblico. Ma quando the winner takes all, la posta è enorme. E l’uso delle risorse pubbliche per accattivarsi gli elettori è la soluzione più ovvia. Sovente agli italiani si additano virtuosi modelli stranieri. In realtà, o la memoria è corta, o chi addita è in malafede. Non dimentichiamo le malefatte di Kohl, di Chirac, di Sarkozy, dei parlamentari britannici: malefatte non meno gravi di quelle di casa nostra.
Quinto argomento. Il maggioritario deresponsabilizza. Non è vero che i cittadini licenziano chi governa male. Capita occasionalmente, ma non è la regola. Il privilegio dell’incumbency è in letteratura arcinoto. Intanto la conoscenza che hanno gli elettori delle politiche adottate dai governanti è molto limitata: sanno quel che gli si racconta. Inoltre, la letteratura dimostra che solitamente non esistono problemi che impongono politiche, ma che sono i fautori di questa o quella politica, che ritengono per sé conveniente, a suscitare i problemi. Che possono capirci gli elettori? Infine: gli elettori sono inerziali. Sono come i tifosi. Un torinista non diventerà mai juventino, neanche se il Toro finisse in quarta serie. Può succedere che un po’ di elettori insoddisfatti della propria parte politica si astengano o si disperdano. Ma è una possibilità troppo erratica per contarci onde migliorare la qualità del governo.
Sesto argomento. La competitività del maggioritario peggiora la qualità del personale politico. Non è vero che la migliora. Né tanto meno facilita il ricambio. Siamo seri: la qualità del personale politico dipende da tanti fattori, che sono indipendenti dal maggioritario. Dipende dai meccanismi di formazione e selezione delle classi dirigenti, che lasciano a desiderare dappertutto. Per come sono fatti i partiti attuali, è difficile che premino i migliori. Se poi, come capita oggidì, è decisiva l’appetibilità mediatica e la disponibilità di risorse finanziarie per sostenere una campagna elettorale, l’esito è disastroso. La competizione propria del maggioritario non agevola neppure il turnover. Non facciamoci abbacinare dall’uscita di scena dei premier sconfitti. In tutto il mondo i politici che sono andati a casa dopo una sconfitta elettorale sono una minoranza. Al momento, i frutti della competitività accresciuta della lotta politica sono solo frutti avvelenati. Oltre al decadimento della moralità pubblica, c’è da citare l’imbarbarimento della lotta politica: sotto gli occhi delle telecamere, neanche il linguaggio trova più restrizioni. Ridotta la lotta politica a bellum omnium contra omnes, anche i partiti ne sono gravemente danneggiati. Gli esempi sono così sgradevoli da essere superflui.
Settimo argomento. Il maggioritario offende il senso di giustizia. Le idee di giustizia sono tante. Anche la selezione competitiva della leadership può esser spacciata come pubblico vantaggio. Ma ormai il senso comune ritiene moralmente inaccettabile che le elezioni si trasformino in una lotteria. O in una sfida all’O.K. Corral, in cui vince chi ha maggiori disponibilità finanziarie o più gode del favore dei media. Il principio su cui si fonda il maggioritario – the winner takes all, seppur temporaneamente – è scandaloso. Anche perché il temporaneo, coi tempi che corrono, è diventato lunghissimo e chi governa pro tempore può provocare gravissimi danni. Una cosa era il maggioritario praticato al tempo delle generose politiche di inclusione del welfare. Un’altra il maggioritario di questi tempi. Ove se resti escluso patisci danni gravissimi. In tempi di risorse scarse, il maggioritario ha esasperato la sua vocazione esclusiva. (Scandalossissimi ovviamente sono i premi di maggioranza. Roba da repubblica delle banane, che non esiste in nessun paese civile). A sinistra ci si commuove parecchio intorno all’idea di uguaglianza. Ebbene, niente come il maggioritario la oltraggia, giacché comprime severamente il pluralismo politico, squilibra la rappresentanza e consente disastri per alcuni e sovrapprofitti per altri. Il maggioritario all’italiana è un abominio. Ma ovunque capita che governi espressi dal 30 per cento dell’elettorato decidano del destino di tutti. Quanto sono allora legittime le scelte di tali governi? Anzi: quando si raccattano voti come capita, non sulla base di disegni politici, ma di qualche brillante battuta pronunciata in tv, in fondo non si rappresenta, né vuol rappresentare, nessuno: si cerca solo il favore dei sondaggi. Che qualche problema vi sia lo testimonia l’astensionismo elettorale.
Ottavo argomento. Si fanno sforzi enormi per metterci una pezza ma con poco risultato. I limiti del maggioritario sono ormai acclarati e ovunque riconosciuti. Tant’è che tutte le democrazie che per semplificare chiamiamo maggioritarie hanno da tempo introdotto dispositivi complementari di concertazione e inclusione: la governance e le procedure deliberative rientrano tra questi. Senza soffermarsi su virtù e vizi di questi dispositivi, perché come tutte le cose umane hanno le une e gli altri, il loro limite in un quadro maggioritario è la delegittimazione delle istituzioni della rappresentanza, anzi dello stesso principio di rappresentanza. La democrazia è asfissiata in una morsa per la quale da un lato c’è l’acclamazione plebiscitaria del leader, dall’altra c’è il popolo che finge di autogovernarsi. Perché comunque affannarsi così tanto a promuovere inclusione e concertazione alle periferie del sistema e non ammetterle invece apertamente al centro?
Perché non rassegnarsi allora all’idea che l’Italia è un paese culturalmente e politicamente composito? In fondo, è una ricchezza. E perché non investire perciò più energie nella comprensione, persuasione e cooperazione tra diversi? Si può vivere benissimo senza leadership personale e senza bipolarismi sconclusionati. Il cambiamento occorso nel 1994 aveva ottimi motivi. Ma visto che ha prodotto solo inconvenienti, e visto che l’uomo solo al comando è un’illusione – lo hanno appreso a loro spese Berlusconi e Bersani, lo apprenderà molto presto pure Renzi –, qualche passo indietro sarebbe consigliabile. Meglio il confronto aperto tra chi la pensa in maniera diversa che non gli agguati alle spalle: a conti fatti si perde anche meno tempo. Un regime non maggioritario ben temperato, un sistema elettorale proporzionale adeguatamente corretto, qualche azzeccato aggiustamento ai regolamenti parlamentari, che alzi il prezzo dei cambiamenti di casacca, potrebbero non già farci tornare indietro, ma piuttosto andare un poco avanti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *