Questo testo di Mario Dogliani riprende ed amplia l’intervento sulla Riforma del Senato svolto nella seduta del 17 giugno 2013 della Commissione per le riforme costituzionali.

E’ ragionevole – per esperienza storico/comparata – collocare il Senato in posizione estranea al circuito della fiducia.
Ciò consentirebbe di realizzare un’operazione di politica costituzionale di altissimo profilo. Creare non una seconda camera depotenziata (una camera “secondaria”), ma una Camera Alta, che ri-immetta nel sistema costituzionale funzioni che la democrazia – inevitabilmente incentrata sulla concorrenza tra partiti e sulla lotta per la rielezione – tende a non trattare con la necessaria energia e continuità, generando degrado istituzionale. Un obiettivo che immette nella forma di governo un elemento “aristocratico”, ma di derivazione pienamente popolare.
Si potrebbe dunque prevedere che il Senato
- non conceda-revochi la fiducia al Governo;
- si concentri sulla funzione di “arbitraggio-garanzia-manutenzione ” delle istituzioni.
Per questa via si attribuirebbe ad una Camera eletta proporzionalmente, ma sottratta all’ipoteca – per lo meno quella gravante sui singoli – dell’”agire essenzialmente in funzione dei benefici elettorali”, una funzione nobile. Il che costituisce l’obiettivo primo per chi abbia a cuore la democrazia: dare all’attività parlamentare una forma tale per cui essa possa essere interpretata come un’attività posta in essere dai suoi attori come sorretta dalla ricerca morale della miglior soluzione possibile per la collettività (migliore alla luce delle singole verità al cui cospetto quegli attori agiscono giudicando se stessi). Il diritto non può pretendere che la politica sia davvero e per tutti anche questa lotta morale (tra la propria verità e il mondo del possibile), ma può pretendere di regolarla affinché si svolga “come se” così fosse. Di qui il carattere profondamente corruttivo, dei presupposti stessi della democrazia, che svolgono le concezioni “gladiatorie” della politica.
A fronte di questo quadro – incentrato sul ruolo di garanzia – ogni sistema elettorale diverso dal proporzionale sarebbe irragionevole.
- Occorre cogliere l’occasione rappresentata dalla domanda – in sé pericolosa e populista – di riduzione del numero dei parlamentari. Come la storia insegna – a partire dai tempi di Silla – il modo migliore per depotenziare politicamente un organo collegiale è fare delle infornate e aumentarne il numero dei componenti. Al contrario, una riduzione comporterebbe – oltre agli immediati benefici in termini di semplificazione dello schieramento dei partiti, e di limitazione della rincorsa della “visibilità” da parte dei troppi parlamentari – un rafforzamento del prestigio del collegio. E la riduzione dovrebbe ragionevolmebte riguardare tanto la Camera che il Senato
La funzione di garanzia-arbitraggio-manutenzione delle istituzioni comporta che il Senato:
- Mantenga funzioni classiche di Camera di riflessione, partecipando alla formazione delle leggi “in materia costituzionale” (v. infra);
- Mantenga funzioni classiche di controllo (istituire Commissioni d’inchiesta e d’indagine – essere il referente della Corte dei Conti – esprimere pareri obbligatori e vincolanti sulle più importanti nomine di competenza del Governo o dei Ministri … );
- Assuma la piena funzione di raccordo tra Stato e autonomie. Le commissioni senatoriali – alle quali i rappresentanti del Governo e degli enti territoriali interverranno come “parti” – assumeranno tutte le funzioni indirettamente normative (finalizzate alla normazione) oggi svolte dal sistema delle conferenze.
- Assuma la piena funzione di “interprete” delle competenze statali e regionali (e degli enti locali): tutti i “contrasti” aventi ad oggetto l’esercizio di una competenza legislativa o amministrativa andrebbero devoluti al Senato come questioni di merito. Contro le decisioni del Senato che dirimono tali “contrasti” potrebbero essere sollevati conflitti di attribuzioni. La foglia di fico degli attuali giudizi di legittimità non regge, e, per le sue dimensioni discrezionalmente creative, fa del male al controllo di costituzionalità in senso proprio.
- Assuma le funzioni normative e ispettive oggi svolte dalle Autorità indipendenti. Queste ultime – ove non abolite e sostituite tout-court dalle commissioni senatoriali – manterrebbero solo le funzioni amministrative (autorizzative, sanzionatorie…).
La partecipazione alla funzione legislativa – proprio per sottolineare l’alta qualificazione “garantistica” dell’organo – dovrebbe essere strettamente limitata alla approvazione:
- delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale, ripristinando così – a causa della sua composizione proporzionale – la garanzia originaria dell’art. 138, svuotata dalla legge elettorale maggioritaria: si rimetterebbe così “in sicurezza” la costituzione.
- di leggi ordinarie “richiamate” dopo l’approvazione della Camera. Il richiamo dovrebbe avvenire entro un tempo molto breve, ed essere deciso discrezionalmente, senza elencare in Costituzione le materie in relazione alle quali è ammesso, perché ciò provocherebbe defatiganti contenziosi. La Camera approverebbe poi in via definitiva, accoglendo o respingendo le motifiche votate dal Senato.
- di leggi ad alto livello di garanzia della tendenziale sistematicità del corpus normativo, senza la quale non si può parlare di “ordinamento”.
Il che potrebbe voler dire:
- Attribuire la Senato la potestà di approvare leggi-delega monocamerali. allo scopo di avviare-controllare la produzione di Testi Unici, o Codici, e incardinare così presso il Senato l’iniziativa della duplice attività di semplificazione del numero delle fonti e dei relativi contenuti. Nulla impedisce che anche la Camera approvi leggi-delega analoghe. Ad evitare inutili complicazioni si dovrà riconoscere al Senato la potestà di apporre, con atto monocamerale legislativo, a parti del Testo Unico – comunicato dal Governo al Senato stesso per il parere finale e per il possibile esercizio della funzione in parola – la clausola di delegificazione, con il che si risolverà, in modo semplice, il problema della delegificazione medesima (che non avverrà più – come oggi -, da parte parlamentare, ex ante e al buio, ma su parti di un testo noto, che, avendo la natura di decreto legislativo, si sarà mosso con piena libertà tra le leggi e i regolamenti preesistenti).
- Assumere la potestà di apporre con atto monocamerale legislativo la “riserva di codice” a leggi o complessi di leggi preesistenti, cosicché le medesime possano essere oggetto solo di abrogazione espressa. Tale riserva potrebbe essere apposta a parti dei Testi unici sopra richiamati, contestualmente alla clausola di delegificazione, e potrebbe riguardare sia parti delegificate che non.
- Delicata è la questione della approvazione della legge di bilancio. Per i motivi sopra detti sarebbe bene evitare il coinvolgimento del Senato nella approvazione di questo fondamentale atto di indirizzo politico. Se però si vuole incardinare nel Senato la funzione di garanzia delle grandi “istituzioni dell’uguaglianza” – e cioè la garanzia della forma dello Stato – si potrebbe prevedere un suo parere obbligatorio e vincolante sui capitoli relativi alla sanità, alla scuola, alla previdenza e alla giustizia.
Se si imboccasse decisamente la strada di ritenere che la rilassatezza di settori della p.a. rappresenta un limite allo sviluppo, e non una risorsa per sostenere un’economia che o è sommersa o non è, si dovrebbe potenziare la funzione ispettiva delle commissioni senatoriali sulle amministrazioni deputate ai controlli di legalità (fiscale, di sicurezza sul lavoro, ambientale, igienica …..) munendo tali commissioni di poteri sanzionatori (estendendo alle commissioni senatoriali permanenti il principio per cui alle commissioni d’inchiesta possano essere attribuiti gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria).
I seggi del Senato (in numero inferiore all’attuale) dovrebbero essere attribuiti, come si è detto, attraverso elezione diretta con sistema perfettamente proprorzionale. Stante l’attuale spirito dei tempi, e per ridurre il rischio che un Senato eletto direttamente forzi il suo ruolo condizionando il conferimento o la revoca della fiducia, e rientri così nel circuito del rapporto fiduciario, si potrebbe pensare che una parte dei senatori sia composta “di diritto” da esponenti delle autonomie territoriali (presidenti delle giunte e dei consigli regionali).

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