Interventi

Tra slogan, metafore, atti intimidatori contro gli avversari, ultimamente ci capita molto spesso di associare la figura del ministro degli interni Matteo Salvini a quella di Benito Mussolini. I suoi alleati di governo sono a lui succubi, i suoi nemici lo temono più di qualsiasi altra cosa, mentre i suoi sostenitori lo amano alla follia, tanto da definirlo il “salvatore della Patria”. Ma stiamo davvero tornando al fascismo con un nuovo “ducetto” mainstream, oppure si tratta semplicemente di marketing della paura frutto di una comunicazione politica spregiudicata? E, soprattutto, è semplice strategia quella di Salvini, oppure davvero le sue intenzioni sono quelle di spingersi sempre più a destra? Abbiamo chiesto il parere al filosofo ed ex editorialista de L’Unità Michele Prospero, in merito ciò che sta accadendo all’interno della politica italiana, e soprattutto nel mondo della destra.

Professor Prospero, paragonare Salvini a Mussolini é esprimere un’opinione oppure si possono fare delle considerazioni oggettive?
Confrontare politici appartenenti ad epoche storiche così diverse è azzardato e comunque ogni tentativo impone delle precauzioni analitiche. Prima delle analogie da cogliere, andrebbero precisate le sostanziali differenze. Mussolini conduceva una lotta politica che combinava metodi legali e illegali, milizia e voto, e organizzava a sostegno del movimento fascista delle forme armate e violente di lotta, di soppressione fisica del nemico. Salvini non si fa strada verso il potere con la soluzione dell’urto armato, dell’intimidazione e dell’uccisione degli oppositori. Un’altra differenza risiede nell’asimmetria del peso storico dei personaggi. Mussolini è l’incarnazione di una dimensione tragica tipica di un personaggio del negativo che ha sprigionato esiti assai distruttivi nel cosiddetto secolo breve. Senza la grandezza del tragico, Salvini appartiene ancora alla cronaca di una politica in decadimento che esprime un esercito di figure pseudocarismatiche che emergono in fretta e con altrettanta celerità rifluiscono, inghiottiti dalla loro stessa mediocre estemporaneità. Appurate le distanze ineludibili, in comune i due politici hanno i tratti di una sostanziale estraneità rispetto ai codici della forma politica liberal-democratica. Tutti e due i personaggi (anche il M5S appartiene per certi tratti antipolitici, sulla mitologia del non-partito in un clima culturale prevalente nel primo dopoguerra) sono espressione di un tempo di destrutturazione dell’ordinamento politico, di una avversione all’argomentazione politica ragionevole e però solo Mussolini è riuscito a transitare dalla fase di movimento antagonista al momento del regime dal volto illiberale. Per ora Salvini con le sue tecniche di comunicazione indossa le divise della polizia ma non è riuscito ad edificare uno Stato di polizia. I suoi tentativi di inscenare un dialogo fittizio con la folla cui chiede, come accaduto a Piazza del Popolo, di conferire un mandato al “capitano” per trattare da par suo con i burocrati di Bruxelles per il momento sono solo una caricatura di schematismi che negli anni Trenta avevano ben altro significato. È il tragico che assume sembianze ridicole in virtù di una ipertrofia del marketing della comunicazione della paura.

Salvini però, sta cercando ultimamente anche di togliersi quell’immagine di leader di ultra destra per avvicinarsi ai popolari europei. È solo una strategia per andare al governo in Europa oppure la Lega sta nuovamente cambiando pelle?
Al momento, non ha avuto successo la via della legittimazione grazie a una strategia di intesa con un partito popolare europeo che comunque ha avuto sensibili spostamenti verso destra (soprattutto in Austria) e che contiene nei ranghi figure centrali della novella democratura (come Orban). Quindi Salvini, nell’impossibilità di una riconversione centrista, riprende la strada del sovranismo populista che postula il collegamento con le formazioni europee della destra radicale. Anche il M5S, che viene dall’accordo con Farage, è alla ricerca di una sponda continentale, ma ha sinora trovato solo la destra radicale polacca. Andrebbero comunque indagate con più rigore le componenti internazionali (poteri statali, finanziari) dei populismi odierni che rientrano in una rete di interconnessioni di cui non si riesce ancora a sciogliere i nodi.

Questo continuo trasformismo di Salvini può essere paragonato a quello che aveva Mussolini?
Mussolini è entrato in parlamento grazie a Giolitti, che incluse il fascio tra i simboli del blocco nazionale liberale. Salvini ha una propria forza autonoma e il plusvalore che ha accumulato in circa un anno di governo è riconducibile non alle esibizioni muscolari di potenza ma alle incertezze del partner maggiore dell’esecutivo gialloverde, che solo in prossimità delle elezioni europee ricorre a una strategia di comunicazione aggressiva rivolta contro lo scomodo firmatario del “contratto di governo”. Il governo, che è al tempo stesso potere e anti-potere, è una caratteristica dell’antipolitica che sviluppa la velleità di assorbire la contraddizione, e lucrare il potere di essere opposizione a se stessa. I due populismi giunti al palazzo tendono a presentarsi uno come l’argine dell’altro e quindi a sorreggersi anche nell’odio reciproco che viene esibito per raccogliere il consenso e inibire ogni opposizione vera.

La Lega però nasce da molto prima dell’arrivo di Salvini, con anche un’anima antifascista e anticentralista. C’é ancora una base e altri dirigenti a cui il leader milanese deve rendere conto oppure il partito é totalmente nelle mani ministro degli interni?
Accanto a Bossi, che nel 1994 rifiutò di stringere al nord l’alleanza con il MSI oltre che con FI, inveiva contro la porcilaia fascista e partecipava alla marcia milanese del 25 aprile dopo il trionfo berlusconiano, che portava al governo assieme ai leghisti anche esponenti del movimento sociale, si muoveva Borghezio che non ha mai nascosto ideologie di destra radicale. La Lega rientra tra le nuove fenomenologie della politica che si presenta priva di strutture organizzative autonome dalla leadership, di momenti di elaborazione programmatica che siano differenti dalla pura fabbrica di tweet. La Lega, da Bossi a Salvini, non ha mai celebrato congressi regolari, riunito organismi politici come occasioni di vero confronto politico. Ottenuto lo scettro dopo le primarie cui la Lega fu costretta dall’ondata giudiziaria che l’aveva decapitata, Salvini si è guardato bene di procedere oltre la “bestia” che suggerisce slogan, magliette, tweet.

Il fatto che Salvini pubblichi un libro con una casa editrice legata a Casapound é più un segnale o una provocazione?
È tutte e due le cose. L’esibizione del giubbotto di casa Pound, il ricorso a battute e immagini del ventennio (che ha in comune con Trump) sono una scelta di Salvini che ne rivelano la fragile cultura istituzionale. Un ministro dell’interno che accarezza movimenti radicali, che demonizza chi lo contesta con epiteti, ingiurie sulle “zecche”, rappresenta una sfida alle regole minimali di una democrazia che ancora conserva le sue parvenze procedurali. Con la sua provocazione se fa il pieno alla destra, perde qualcosa al centro, tra la borghesia produttiva del nord che avrebbe molto da perdere con il sovranismo autarchico in salsa gialloverde, soprattutto perché le imprese che resistono sono rigonfiate nei profitti solo dalle esportazioni o producono in sinergie con le grandi aziende tedesche.

Secondo lei perché Salvini ha costruito buoni rapporti con movimenti di estrema destra come Casapound, pur rompendone l’alleanza dopo il 2015? C’è il rischio che stia solo aspettando per tornare a coinvolgerli in un progetto di alleanze futuro? 
Salvini ha sviluppato sino agli estremi un’intuizione politica. In tutta l’Europa, esiste uno spazio notevole per la destra radicale o populista che politicizza le questioni identitaria (contro l’Islam, le tecno-burocrazie). In Italia questo territorio politico era rimasta incustodito dopo la disavventura di Alleanza nazionale, che aveva peraltro imboccato la via di un conservatorismo liberale per trovare una legittimazione e, anche prima della sua evaporazione, non insisteva con forza nella polemica contro i migranti. In una situazione di “domanda” insoddisfatta per la mancanza di una destra paragonabile a quella francese, Salvini ha provveduto a indossare i simboli e le parole della destra radicale. Da partito etno-regionalista ha trasformato la Lega in partito sovranista fortemente dipendente dalla immagine del leader. Quello di Salvini è un partito leaderista che penetra nei territori senza avere alcuna organizzazione reale e visibilità nei luoghi periferici dove si affida al reclutamento di antiche personalità del sottogoverno meridionale in cerca di riciclaggio. Neanche nell’Italia un tempo rossa lo sfondamento di Salvini poggia su una effettiva presenza nei territori. Non la presenza effettiva negli spazi, non l’organizzazione effettiva di istanze presenti nella società, ma un’ossessiva occupazione dei media (e il consenso tra gli spaesati ceti popolari è legato al condizionamento dell’agenda dei media della cosiddetta “vita in diretta”, della Tv del reality) garantisce l’egemonia di Salvini. L’omologazione tra Tv pubblica e commerciale, la trattazione della politica solo come “merce” offerta nel talk, sono le basi del populismo come forma dell’ideologia contemporanea.

Che cosa pensa della sospensione della professoressa di Palermo per aver paragonato Salvini a Mussolini in una slide? Siamo in un clima di dittatura o esistono realmente fondamenti obiettivi per la quale una cosa del genere non può essere fatta da un insegnante?
Si tratta del riemergere di un tipico servilismo italiano che spinge anche le burocrazie a riverire il potere di turno per ingraziarselo in nome di una attitudine alla ottusità. La vicenda rivela la demenza di un potere che cerca obbedienza, e trova vigili del fuoco solerti nell’impegnarsi nella rimozione degli striscioni sui balconi, qualche dirigente dei sindacati della polizia gioire perché con Salvini la polizia è al governo. Per fortuna poi ci sono le parole del capo della polizia Gabrielli che invece rivelano ben altro spirito delle istituzioni repubblicane. Il governo gialloverde, travolto dalla difficoltà di risolvere i grandi problemi economici, impone come oggetto di discussione l’obbligo del grembiule. Finché la dura realtà non tornerà ad esigere le proprie ragioni, si va avanti con i governi delle narrazioni con ministri che non stanno mai nei loro posti di responsabilità. Almeno Mussolini ricorreva all’espediente della luce sempre accesa a Palazzo Venezia per trasmettere l’idea di un potere sempre al lavoro. Questi di oggi che gustano il sapore del balcone, fanno sempre altro, in giri nella campagna elettorale permanente, non trovano mai il tempo per lo studio distaccato, che è l’essenza del mestiere della politica. A un ceto politico di così scarse letture fa giustamente ombra una professoressa che stimola gli studenti all’esercizio del dubbio e della critica.

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