Umberto AllegrettiNel 1989 è uscito in Francia il libro di Serge Latouche “L’occidentalisation du monde. Essai sur la signification, la portée et les limites de l’uniformisation planétaire” , che ha avuto meritatamente (e in Italia in particolare) un’ampia circolazione e una forte influenza sul movimento d’idee successivo. In questo libro è svolta con grande efficacia la tesi che il processo in corso nella nostra epoca è retto e conformato da un potente movimento di occidentalizzazione, che ne spiega per tanta parte il modo di essere e il direzionamento. L’occidentalizzazione è per Latouche la forma della globalizzazione (in un tempo in cui questa non era ancora divenuta un topos per l’analisi del mondo contemporaneo), come è desumibile dalla sua genealogia e come è naturale constatare per chi – come dichiara nella prefazione italiana a I profeti sconfessati – ha sempre posto il Terzo mondo «al centro delle preoccupazioni».

L’analisi di Latouche si poneva, e prima e dopo quel lavoro si è sempre posta, sul piano alto della riflessione sulle culture e le civiltà, correggendo così le unilateralità presenti nelle visioni più comuni del mondo attuale, ispirate da un lato al fattore economico – la globalizzazione come fenomeno essenzialmente economico e finanziario, il cui andamento giustifica l’appellativo corrente di globalizzazione «neoliberista» – dall’altro alla dimensione politica e militare. Nella sua ampiezza, comprendeva entrambe quelle dimensioni – e altre ancora, come la planetarizzazione della scienza e della tecnica e quella dei fatti coinvolgenti l’ambiente – e però vi introduceva un elemento più essenziale e fondante, reggente in qualche modo, anche se certo non da solo, tutti i processi particolari: l’elemento declinabile come «invasione culturale» e come «standardizzazione dell’immaginario» . Di conseguenza – definito l’Occidente come «anticultura», nel senso di «disumanizzazione della vita sociale» – vedeva nell’occidentalizzazione un gigantesco fenomeno di «sradicamento planetario» .
Con questo, la ricostruzione di Latouche precede quelle concezioni della mondializzazione francesi, anglosassoni, centroeuropee (ad esempio, Laïdi, Robertson, Sennett, Beck, Bauman) che in maniere diverse procedono a identificare la globalizzazione nei contenuti ed effetti socio-antropologici e nelle sue fondazioni filosofiche. In questo variegato ambito, essa porta una nota particolare. Tematizza da un lato la innegabile riconduzione di questo processo alla predominante iniziativa dell’Occidente. Dall’altro fissa l’attenzione sulla separazione dell’economico – e quindi dell’utile e del funzionale – dal sociale, sulla sua preminenza immaginaria e pratica verso ogni altro aspetto della vita, e sulla conseguente drammaticità dell’effetto di disumanizzazione, di dissoluzione del legame sociale e di sradicamento delle antiche culture, che questo produce.
Gli elementi centrali della proposta ricostruttiva sono costituiti, dunque, dall’idea del mercato unico mondiale, concepito e voluto come tale prima che si rendesse reale, e concretizzantesi in una megamacchina dominata dall’impero della scienza e della tecnica che edifica il mito dello sviluppo, e che sostituisce il ruolo della religione tanto rilevante a suo tempo nella colonizzazione; e dai flussi asimmetrici delle categorie culturali che impongono l’omologazione delle varie culture. Il tutto sotto l’ispirazione di un individualismo fondato su un’ineguagliata coscienza di sé protesa alla massima efficacia di organizzazione, che assoggetta le società altre pretendendone l’uniformazione a quelle dell’Occidente e ai loro valori. Restano un po’ più in ombra in questo modello, ma non sono certo negati, il ruolo della violenza, già così vistoso (si sottolinea) nella precedente fase coloniale, e quello dell’omologazione delle istituzioni e dell’ordine giuridico, che ha fatto parlare altri di «stato importato», e che Latouche non manca del resto di sottolineare a più riprese. Più tardi egli svilupperà esplicitamente una componente già insita nel suo discorso, la riduzione in seno alla cultura occidentale della conoscenza e dell’azione dell’uomo alla razionalità, abbandonando la ragionevolezza propria di altri mondi esterni all’Occidente o precedenti la modernità e perseguendo quello che altri chiama la distruzione delle passioni.
Da notare tra l’altro che, benché la formulazione della tesi sia anteriore, anche se di poco, alla caduta del blocco sovietico, è mostrato che «il socialismo reale è soltanto una variante particolare dei sistemi capitalistici e delle società occidentali» . La forte accentuazione della spinta uniformatrice insita nell’occidentalizzazione (già espressa nel sottotitolo del libro del 1989) non porta Latouche a misconoscere le disuniformità esistenti tra le culture, che non solo permangono ma talora si rafforzano nei tempi recenti – come nel caso delle reazioni identitarie e fondamentaliste sulle quali si sofferma, sottolineando già la forza di quella islamica . Egli censisce poi acutamente sopravvivenze, resistenze e stravolgimenti prodotti dall’occidentalizzazione , vedendo accanto ai vistosi effetti di questa anche i suoi limiti e i fallimenti, inclusa la crisi interna dell’ordine occidentale stesso .
La tesi ha prima di tutto carattere conoscitivo e interpretativo della realtà; al tempo stesso è motivatamente valutativa, in senso negativo, rispetto a un modello di rapporto tra le culture e le società del mondo di cui vede i danni e la tragedia planetaria prodotta. Non prescrittiva, né ovviamente nel senso di auspicare il proseguimento del modello né in quello più tenue di pensarlo come destino futuro del mondo (molti lo fanno!) , non perviene neanche – sebbene, come ricordato, riconosca limiti e fallimento dell’occidentalizzazio-ne – alla previsione di uno sbocco necessario dei processi in corso in un crollo generalizzato né alla formulazione di una proposta alternativa. Indirettamente, essa contiene comunque in sé un grande potenziale di istanze alternative, che non ha infatti mancato di esplicare in questi anni un’influenza in seno ai movimenti sociali che l’hanno riecheggiata, e che, naturalmente, può dar luogo a corollari diversi secondo le differenti prospettive che si possono adottare sia pure accettandola.
Se il paradigma proposto da Latouche aveva un grande valore al tempo in cui è stata proposto, perché attirava l’attenzione sul problema del Sud del mondo in cui gli sguardi erano ancora fermi sul conflitto Est-Ovest, questo valore permane anche oggi, dopo che hanno avuto luogo eventi importanti. Questi ne hanno sicuramente manifestato la fecondità, ma impongono altresì verifiche e precisazioni in aderenza agli sviluppi della realtà. I suoi elementi costitutivi sono tuttora in atto e molti di essi si vanno addirittura rafforzando. Nel contempo, le loro modalità e la loro dimensione si articolano in forme e gradi nuovi, che finiscono per imprimere un segno differente (e forse ancor più drammatico) al quadro mondiale, come risulta sia dai dati – per esempio quelli diffusi dagli annuali Rapporti sullo sviluppo umano dell’Undp – sia dalle analisi e dalle riflessioni della letteratura recente, che non può qui essere ripercorsa .
Per contribuire a mettere a fuoco alcune delle verifiche e delle precisazioni richieste, Democrazia e diritto e diverse entità associative della città hanno promosso a Udine, il 2 ottobre 2004, un convegno, L’occidentalizzazione del mondo 15 anni dopo. Dalle relazioni di quel convegno sono tratti i saggi che seguono.
Due sono le modificazioni che, a parer nostro, meritavano soprattutto di essere messe in risalto, al di là delle molte variazioni suscettibili di analisi sul piano sia culturale che economico, politico e giuridico. Primo, l’occi-dentalizzazione non può dirsi veramente l’unica spinta a cui obbedisce l’odierna mondializzazione. Se essa ne costituisce la mossa originaria ed è tuttora violentemente all’opera, altre componenti vanno intrecciandosi e rendono il quadro complessivo più complesso e contraddittorio. Una di esse, la spinta dell’islamismo radicale, si mostra in speciale rilievo, anche se non può essere considerata l’unica reazione né l’unica alternativa presente. Abbiamo chiesto a Serge Latouche di darci la sua riflessione sulle nuove coordinate nel cui contesto l’occidentalizzazione secondo lui agisce. Le sue considerazioni risultano dal saggio che segue, che come si vedrà punta l’attenzione appunto sull’islamismo radicale, da lui definito un progetto di nuova e solo in parte diversa globalizzazione. Secondo, l’Occidente e l’occidentalizzazione non sono probabilmente rappresentabili, almeno oggi, come un blocco davvero unico e compatto: nel loro seno, infatti, si profilano alcune disomogeneità (Gasbarro), «eccedenze» (come le chiama Cassano) e «varianti» (Allegretti), la considerazione delle quali si salda, fra l’altro, a quel filone di riflessioni che dovrebbero sempre più investire la questione dell’americanismo e dei rapporti Europa-Stati Uniti.
Non è certo con questa esaurita l’analisi delle modificazioni del paradigma in questione né della sua attuale utilità, nel quadro più ampio degli studi sulla mondializzazione. Ma forse valeva la pena che questi primi assaggi fossero messi per iscritto, sulla traccia del convegno citato, ed esposti ai lettori, nella speranza di attivare su di essi, anche da parte loro, un discorso.

Un commento a “La dottrina dell’occidentalizzazione e il suo valore attuale”

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