Interventi

Mi scuso con voi per la non voluta assenza dovuta alle difficoltà dell’incalzare degli anni. Le quali però non stroncano il desiderio di essere in qualche misura con voi a discutere di questo nuovo testo sull’”Ottobre 1917”, fatica recente di Michele Prospero cui mi lega stima ed affetto. Ma non è per amicizia o per consonanza politica che, pur non potendo essere fisicamente presente, desidero intervenire per raccomandare la lettura di questo saggio. Intorno alla rivoluzione d’ottobre esiste, come si sa, una sterminata letteratura. Molta parte di essa essendo stata pensata e prodotta nel tempo in cui esisteva la Unione Sovietica era fatalmente concepita, per quanto gli autori volessero essere considerati imparziali, secondo le opposte passioni di quel periodo del ‘900 drammatico per tutti, ma ancora più terribile per lo Stato e la società nati dall’ottobre. La dura conclusione della prima guerra mondiale, la guerra civile foraggiata dai paesi capitalistici, le difficoltà spaventose e gli errori per la creazione di un’economia e di uno stato nuovo dal nulla, la carestia, le lotte intestine risolte con l’orribile criterio della decimazione cruenta, l’aggressione nazista costata milioni di morti e, dopo la vittoria, la guerra fredda e la gara atomica: fu la storia di un durissimo calvario.
Ora che l’Unione Sovietica è da tempo implosa e scomparsa per le proprie interne contraddizioni, oltre che per l’assedio cui fu sempre sottoposta prima e dopo la seconda guerra mondiale, le passioni dovrebbero essersi placate e potrebbe essere possibile tendere ad un esame più sereno, capace di vedere il bene e il male innanzitutto della nascita, cioè della rivoluzione d’ottobre, senza idoleggiamenti e senza esecrazioni. Ma così non è. Se l’area delle esaltazioni acritiche, ridotta a qualche scampolo, è praticamente scomparsa, è rimasta e si è ingigantita quella delle demonizzazioni, a partire dal libro nero di berlusconiana memoria. È largamente passato nell’opinione comune lo slogan reaganiano su “l’impero del male” per identificare quella esperienza storica.  Eppure nessuno di coloro che occupano ruoli politicamente dirigenti delle società capitalistiche a regime liberal-democratico potrebbe stare dov’è se non ci fosse stato il preminente ruolo dell’Unione sovietica nel vincere la tirannide, il razzismo e la barbara violenza di nazisti e fascisti nemici alla radice di ogni libertà politica.
Il fatto è che quella lontana rivoluzione non ha smesso di fare paura a chi domina le società in cui viviamo, e ne trae i vantaggi maggiori. I soldati, gli operai, i contadini in rivolta in larga misura spontanea, il crollo in pochi mesi dell’autocrazia, del putsch restauratore, delle parvenze innovatrici concepite a fini bellicisti e conservatori, la capacità da parte di un gruppo inizialmente esiguo di militanti rivoluzionari di diventare forza di massa e di instaurare dal caos un abbozzo di ordine nuovo : tutto questo che a decine e decine di milioni di essere umani apparve come un messaggio di speranza, ai gruppi dominanti sembrò un sinistro rintocco funebre. Alla fine questi hanno vinto – più per gli errori altrui che per i meriti propri. Ma per vincere hanno dovuto cedere terreno ed ora tentano di riprenderselo, volgendo le crisi, da loro provocate, a proprio vantaggio, come vediamo nelle tendenze di destra che si vanno espandendo in Europa e nel mondo e che arrivano fino i ritorni fascisti.
Ma proprio perciò questo saggio di Prospero non è un testo utile solo a chi voglia capire, ma anche a chi senta il bisogno di intervenire nella lotta politica. Con una lettura scrupolosa degli scritti di Lenin – che fu indubbiamente l’artefice primo seppure non unico della presa del potere, dato il ben noto ruolo di Trotskij e di altri – Prospero dà conto dei motivi determinanti di quella storica impresa. Così vediamo che ciò che distingue Lenin da tutti gli altri è, innanzitutto, la più attenta e precisa analisi della situazione, dei rapporti di forza volta a volta determinati, dei sentimenti degli insorti, dei bisogni di massa. È di qui che vennero le indicazioni delle azioni possibili al fine del necessario rivolgimento di un assetto sociale, economico e politico dimostratosi pienamente fallimentare.
Lenin sa e dice, ci ricorda Prospero, che la impresa rivoluzionaria è possibile per la “distrazione” delle maggiori potenze capitalistiche impegnate a combattersi tra di loro. Ma non si era trattato solo di distrazione. Lenin aveva lavorato all’interno delle contraddizioni interimperialistiche, giunte alla guerra, utilizzando l’interesse della Germania a chiudere il fronte russo, dapprima ottenendone il proprio rimpatrio e la tacita neutralità verso la rivolta ormai in atto e infine arrivando a sottoscrivere durissime condizioni di pace. Furono le scelte che consentirono la vittoria della rivoluzione e la sua iniziale sopravvivenza, ma furono scelte estremamente difficili e contrastate e che costarono a Lenin anche feroci calunnie. La Luxemburg stessa deplorò la pace di Brest Litovsk che, a suo giudizio, dava fiato all’imperialismo tedesco. È un giudizio che sta nello scritto medesimo sulla rivoluzione russa, steso nel carcere, lo scritto in cui, con straordinaria acutezza, previde per il partito comunista e lo stato sovietico le conseguenze nefaste dello spegnimento della dialettica e dello scontro democratico a favore del partito unico. Uscita di galera la Luxemburg non finirà e non pubblicherà quel suo scritto che vedrà la luce, postumo, alcuni anni dopo il suo assassinio. Ma il suo inespresso dissenso, pur nel sostegno a Lenin, è la prova della difficoltà estrema di quella scelta di politica internazionale senza le quali la rivolta non sarebbe diventata fondazione di uno stato.
Ma non fu l’unica difficoltà. Prospero ci mostra passo passo, con scrupolo filologico (la citazione dei testi leniniani è il tessuto del saggio) come Lenin aggiorni continuamente le sue posizioni combattendo volta a volta alla sua destra e alla sinistra in modo da non perdere mai il contatto con la sensibilità delle donne e degli uomini – soldati, operai, contadini – che sono in movimento e che hanno creato le loro forme di auto direzione. Non erano scontate, neppure nelle fila dei bolscevichi, né la parola d’ordine “tutto il potere ai soviet” e neppure quella che reclamava “la terra ai contadini”. Sulla prima c’erano le esitazioni di chi temeva un assetto non pluralistico anche se, come mostrano i testi, non era questo il fine ultimo cui Lenin mirava. Sulla terra ai contadini gravava (anche per la Luxemburg) il timore del distacco dall’idea di una totale proprietà sociale. Ma l’una e l’altra saranno decisive. La duplicità del potere non avrebbe domato il caos e senza la partecipazione dei contadini, grande maggioranza delle classi lavoratrici, non ci sarebbe stato vittoria.
Dentro la eccezionalità della situazione storica, delle sconfitte belliche, di uno stato disfatto, di una società civile estremamente fragile era stata possibile la ribellione, ma senza la straordinaria capacità di Lenin, che Prospero ci mostra anche nelle sue diversità e nei suoi limiti storicamente dati, sarebbe stato impensabile la trasformazione di un pugno di rivoluzionari in creatori di una realtà nuova. Naturalmente, è facile oggi, a rileggere quelle pagine vedere come il bisogno dell’azione, e cioè la priorità del fine da raggiungere, comporti prezzi durissimi. Già in “Stato e rivoluzione” Lenin, contro i formalismi istituzionalistici, si affidava alla garanzia degli “operai in armi”, una garanzia che non poteva certamente durare per sempre. E Prospero ci mostra qui il fastidio di Lenin per le disquisizioni sulla democrazia pensabile che paiono astratte e lontane rispetto all’urgenza drammatica determinata da un vuoto di autorevolezza e dunque di autorità che bisognava a tutti i costi colmare. Ma sarà poi egli stesso a vedere le necessità economiche nuove dopo la vittoria e a interrogarsi sul rischio del burocratismo, e sul pericolo dell’arbitrio personale di un capo, a partire da Stalin.
Impariamo da questo testo di Prospero il bisogno di una azione capace di misurarsi continuamente con la realtà data, ma contemporaneamente capace di una forte ispirazione ideale e morale. Quei rivoluzionari si battevano per dare dignità e voce a chi aveva conosciuto solo miseria e umiliazione e immaginavano un’eguaglianza fatta della libertà non solo contro l’autocrazia zarista ma contro ogni forma di autoritarismo. Sappiamo oggi che le conseguenze furono contrarie alle premesse e dunque abbiamo imparato cosa non si deve fare. Ma hanno totalmente sbagliato quelli che hanno creduto di dover dimenticare l’indignazione per l’ingiustizia della società in cui viviamo e il bisogno di continuare a lottare contro il potere dei pochi e per la libertà di ciascuno e di tutti.

Un commento a “La lotta contro l'ingiustizia a cent'anni dall'Ottobre”

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