Interventi

C’è alternativa? Sì ed è già in atto. La domanda è come praticarla, per potenziarla, per consolidarla in realtà.
È in atto nella rivolta contro il neoliberismo e il fallimento delle sue politiche sociali. È in atto contro i sistemi di poteri e contro i governi – quali che siano formule o le sigle di partito – che le hanno realizzate.
L’alternativa si è espressa il 4 dicembre nei milioni di No alla controriforma della Costituzione, nel segno di una concentrazione neoautoritaria dei poteri. Quel giorno noi abbiamo vinto, siamo stati parte dell’alternativa, abbiamo contribuito a darle idee e corpo.
Non è stato un voto di conservazione, o di “protezione”, come l’ha definito ieri da Arturo Scotto. Bisogna guardare a fondo dentro il voto, sono d’accordo con Scotto. Ma io lo leggo in modo opposto al suo, e ne traggo quindi conclusioni politiche opposte.
Per Scotto c’è Trump al fondo del No. Del resto sono stati molti, nei commenti dei media e politici, ad accomunare il voto referendario a quello sulla Brexit, o alla vittoria di Trump. Ed è vero che c’è una analoga spinta di opposizione al sistema di potere dominante.
Ma nel No del referendum sulla Costituzione quella spinta è andata in direzione opposta: non più potere in alto, più delega ad un leader; ma più potere in basso. All’assenza di democrazia, patita da decenni, si è risposto con la pratica democratica. Con una riappropriazione di politica attiva, di partecipazione. Bisogna non aver fatto campagna elettorale nel paese per non vederlo.
Una pratica democratica che si è felicemente coniugata a pratiche di conflitto sociale. Ne è stato un momento visibile la manifestazione del No che si è tenuta a Roma, promossa dai movimenti dei giovani precari, del No alla “buona scuola”.
L’alternativa è in atto nella politica diffusa, più forte ed estesa di quello si pensa. Penso in primo luogo al femminismo. Alla significativa manifestazione del 26 novembre, contro la violenza. Non è stato solo, o soprattutto, un grande raduno di piazza. Si è vista quel giorno la ricchezza di politica, fatta da esperienze radicate nel territorio, da un protagonismo diffuso di donne differenti. Con una consapevole ed esplicita connessione a movimenti e conflitti agiti da femministe nel mondo: in Polonia, come in Argentina, come in Turchia.
Sappiamo ripartire da qui? “Ricominciamo dal No(i)”. Abbiamo nominato così l’appuntamento del dopo-referendum l’11 dicembre, al quale hanno partecipato centinaia di uomini e donne. Ed è un percorso di “politica in comune”, costruito in questi mesi, che intendiamo continuare.
Ricominciamo dal 26 novembre, verso lo sciopero dell’8 marzo, e oltre. È l’intento condiviso che ha portato a Bologna tantissime donne e molti uomini. Guardando all’America traumatizzata da Trump. Ma fermandosi a osservare e capire la reazione che lì è in atto. Alla marcia di Washington, organizzata e diretta da donne.
Non sottovaluto il vento di destra che soffia forte in Europa. Al contrario. Vivo l’angoscia che possa ripresentarsi l’orrore che ha devastato il nostro continente e il mondo negli anni Trenta del Novecento. E di questa angoscia fa parte l’inadeguatezza della sinistra. Una sinistra che troppo spesso è parte del problema, non il soggetto, il luogo della risposta.
Ma non serve la moderazione a contrastarlo. Non serve “fare fronte”, spostandosi ancora di più al centro. Così si lascia esposta la società a quel vento. Alla radicalità della destra si deve rispondere con una radicalità da sinistra. Una radicalità non evocata, ma nutrita di pensiero e di pratiche. C’è bisogno di rivoluzione, non di moderazione. C’è bisogno di rivoluzionare noi stessi, nel pensiero e nel modo di fare politica. Invertendo la rotta rispetto alla deriva di una “modernizzazione passiva”, come l’ha ben definita Michele Prospero, alla quale la “sinistra” si è affidata negli ultimi decenni.
Il Pd è un esperimento fallito. Si è infranto sul referendum, e sulle controriforme, prima tra tutte il Jobs act, il Pd del Lingotto, non quello sedotto dall’avventura di Renzi. E noto, tra parentesi, che è stato Walter Veltroni, con l’opzione per un partito a “vocazione maggioritaria”, una miscela senz’anima dei “riformismi”, a decretare la fine del centro-sinistra e dell’Ulivo.
Sono anche qui d’accordo con Prospero. C’è spazio per una grande sinistra. Ma è impossibile praticarlo se non si prende atto di questo fallimento.
E se non si riapre il cantiere che da troppo tempo è chiuso, quello del pensiero critico, dei pensieri lunghi. È questo l’antidoto decisivo all’inadeguatezza. Di questo abbiamo bisogno se vogliamo colmare il divario tra le intenzioni, “i valori” e la politica agita. Su questo possiamo costruire e ritrovarci, nel riconoscimento delle differenze, con le molte e i molti che sono già impegnati a fare alternativa.

2 commenti a “L'alternativa è già in atto”

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