Interventi

A sei anni dal documento La cura del vivere, il Gruppo del mercoledì, composto da  Filvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Elettra Deiana, Letizia Paolozzi, Bianca Pomeranzi, Bia Sarasini e Stefania Vulterini,  torna con una pubblicazione, Mamma non mamma, supplemento a Leggendaria n.123/2017, con l’intento di “spostare lo sguardo” sul dibattito attorno alla gestazione per altri. Non è un documento unitario, ma una raccolta di più interventi, di narrazioni e di incontri con chi ha fatto esperienza di gestazione per altri. Possiamo leggervi, tra gli altri, un saggio di Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, un testo sull’uso del diritto penale di Tamar Pitch e uno sulla eteronormatività di Viola Lo Moro. Mamma non mamma è un contributo alla discussione che è anche un punto di arrivo e di ripartenza di un percorso iniziato nel novembre del 2015,  quando il Gruppo organizzò un appuntamento dal titolo “Curare la differenza. Tra gender, generazione, relazioni sessuali e Famiglie Arcobaleno”. A quell’incontro ne sono succeduti altri del femminismo italiano e ci sono stati più momenti di discussione e di conflitto, e il prender corpo di posizioni diverse che si sono man mano meglio definite e chiarite. Lo dico innanzitutto per me stessa, che a molti di questi appuntamenti ho partecipato. Alcune posizioni a dire il vero si sono ancor più irrigidite, lasciando poco spazio alla pratica del dubbio, la quale ha invece ispirato sin dall’inizio il Gruppo. Anche in questo testo viene riproposta dall’apertura di Bia Sarasini: Il dubbio che chi non firma la proposta di divieto universale della Gpa, non per questo sia sostenitrice dei più loschi traffici di corpi di donne, un’adepta/o del neoliberismo. Ma anche il dubbio che chi sottopone a critica le tecnologie riproduttive non sia la pura espressione di un pregudizio ideologico, o di un’appartenenza religiosa (p.5).
In questo modo Mamma non mamma conferma la scelta di avere una posizione aperta e di ascolto, a partire dalle differenze che attraversano lo stesso Gruppo del mercoledì. Posizione che interroga le soggettività coinvolte, ascolta le donne che hanno portato avanti gestazioni per altri, gli uomini e  le coppie omosessuali diventati genitori grazie alla gpa, evitando di posizionare automaticamente le prime nelle categoria delle vittime, i secondi tra gli sfruttatori omopatriarcali. Questa apertura non elude la questione di fondo della gpa e in genere delle tecnologie riproduttive: se siano o meno nuovo strumento del potere patriarcale. Se stiamo cioè vivendo solo in una nuova tappa dell’eclissi della madre, per stare alla felice definizione che dei rischi dei processi in corso diedero Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa ormai quasi venti anni fa [1].
L’elaborazione guadagnata dal 2015 si ritrova nei testi. All’epoca eravamo nel pieno della discussione sulle unioni civili, aveva iniziato a circolare anche in Italia l’appello internazionale Stop surrogacy now, veicolato da Snoq-libere. In quel clima il Gruppo del mercoledì invitò a discutere a partire da alcune domande . Domande piene di preoccupazione. Ricordo che come blog Femministerie arrivammo a quella discussione avendo a nostra volta proposto alcune questioni sulla tutela dei bambini nati in questo modo, la libertà delle donne e lo sfruttamento del loro corpo, che comunque non ci portavano a rifiutare tout court questa realtà. Ma la parola femminista italiana sembrava più univoca, così, per esempio l’articolo del blog del Corriere della sera, 27esimaora, dove si parla  anche di quel dibattito, potè titolare “le femministe contro la maternità surrogata”.
Un contributo importante in questo cammino ritengo sia stato stato il numero di Leggendaria curato da Anna Maria Crispino e Giorgia Serughetti (n111/2016), non a caso più volte richiamato in Mamma non mamma, a partire dal quale Il Gruppo del mercoledì e il Crs organizzarono un seminario a Roma. Il numero affrontava il tema della gpa e della moltiplicazione delle figure della madre. Emergeva anche il valore identitario che lo scenario tecnologico, occultando le soggettività, finisce per dare al materiale genetico [2].  In Mamma non mamma Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa invitano proprio ad andare oltre “l’incantamento biologico”, a non far precipitare il tema dell’origine nella sequenza del dna, mettendo in ombra le relazioni in cui la vita si fa e diviene. E invece la questione è proprio fare ordine tra le varie figure in gioco, non occultare la posizione asimmetrica dei sessi nella riproduzione. Si metteno così a fuoco i tentativi di controllo e appropriazione della capacità generativa delle donne, ma anche la libertà guadagnata dalle donne nel dare significato al proprio essere sessuato, alla differenza sessuale, senza ritornare alla coicidenza fra la donna e la madre. Altrimenti, avvisano Boccia e Zuffa la differenza torna ad assumere inevitabilmente il connotato “naturale” (p.8). Così è per esempio in chi critica la gpa in nome della libertà femminile per l’innaturale separazione tra nascituro e donna partoriente. La risposta all’eclissi della madre non è far coincidere madre e procreatrice. La scena è complicata dal  moltiplicarsi della figure della madre, ma al centro delle relazioni procreative sono comunque donne (p.9).
Invece nell’appello per il divieto universale della maternità surrogata Bianca Pomeranzi legge la proposizione di una sacralità della maternità fisica. Ma soprattutto, a partire dalla propria esperienza nel comitato Cedaw (Convenzione per l’eliminazioni della discirminazioni contro le donne), contesta che il divieto universale sia uno strumento efficace di contrasto alle violenze e disciminazioni che segnano questo fenomeno nel mondo. Mentre Elettra Deiana si interroga sulla relazione che c’è tra questa discussione, la tentazione del ricorso al divieto e la libertà che viene dagli anni Settanta, il mutamento antropologico che si è prodotto a partire da allora nella relazioni uomo donna e nella separazione tra sessualità e procreazione. Mutamento che parla anche attraverso gli interventi maschili dell’opuscolo, come quello di Claudio Vedovati,  che propone, per uscire dall’opposizione “tipicamente maschile” tra proibizionismo e libertà contrattuale la nozione femminista di diritto leggero. Nozione cara a filoni di ricerca che furono del Crs degli anni 90 e che oggi vengono ripresi, a partire dal fascicolo di Democrazia e diritto “La legge e il corpo” [3].
Di riduzionismo essenzialista parla Angela Ammirati, che vede nell’insolito sodalizio proibizionista tra esponenti del pensiero della differenza e posizioni oltranziste dei neo-cons la conferma di un ritorno del materno come “luogo materiale e simbolico della specificità femminile”.  Tamar Pitch propone una riflessione sul femminismo punitivo, definizione da lei adoperata già in altre occasioni [4]  per quei movimenti di donne che richiedono criminalizzazioni o aumento di pene per reati esistenti, che ha suscitato vivaci discussioni e polemiche [5]. Inserisce così la richiesta del reato universale per la gpa in un processo più ampio di ricorso al penale della politica nel tempo dell’egemonia neoliberale. Il femminismo punitivo parla anche a nome delle altre, che riduce tutte a vittime, non riconoscendo loro capacità di agire. Nel suo articolo Giorgia Serughetti parte proprio dalla storia di una di queste presunte vittime, Jamie, 27 anni, single della classe media, con una figlia, che ha dato alla luce una bambina per una coppia di uomini. Una situazione scelta perchè libera da quelli che possono essere problemi di business, sfruttamento, occultamento della madre e permette di valutare la realtà della gpa e i suoi interrogativi etici nella condizione migliore. Facendo così i conti con “uno degli esiti imprevisti del cambiamento che ha condotto le donne a scrivere da sé la propria biografia sessuale, sentimentale, riproduttiva”.
Laura Corradi [6], intervistata da Bia Sarasini, approfondisce il tema della salute e i problemi legati alle tecnologie riproduttive. Oltre la condizione di vita delle donne coinvolte nelle gravidanze per altri l’analisi va alla diffusione dell’infertilità e l’entusiasmo per le promesse della scienza in campo riproduttivo.
Viola Lo Moro si interroga sull’afonia delle lesbiche, la difficoltà ad intervenire, vissuta da lei stessa quando è esploso il dibattito. E’ passato, a suo dire, un ritorno alla maternità naturale “senza un minimo accenno al fatto che naturale ed eterosessuale così si sovrappongono acriticamente, aver lasciato passare senza far troppo rumore questa cosa è la più grande sconfitta per il movimento lesbico”.
E infine, l’opuscolo Mamma non mamma si chiude con l’esperienza e la parola degli omosessuali diventati padri grazie alla gpa. Giovanni De Vita ci offre il suo racconto. Nichi Vendola viene intervistato da Letizia Paolozzi. Entrambi italiani, ma con compagni canadesi, paese in cui la gpa è consentita. Giovanni De Vita sottolinea la presenza della donatrice e della gestante nella loro vita. L’origine non è stata occultata. “Le nostre bimbe sanno che Dora e Neith ci hanno aiutato a farle venire al mondo … Parliamo spesso di loro, soprattutto quando le nostre bimbe ci chiedono di ricordare i momenti in cui sono nate”. Così nell’esperienza di Nichi Vendola “quando abbiamo incontrato la donna che ha dato l’ovocita e quella che avrebbe portato il bambino è stata un’emozione intensa per tutti, è davvero scoccata una scintilla”. Quanto è sessuata una scena in cui è scomparsa la sessualità? Sembrerebbe che nel prendersi cura che della vita neonatale da parte di questi padri non ci sia rimozione della madre, ma un’esperienza che muta il maschile, “la perdita del me stesso onnipotente”. E l’intervistatrice ipotizza un migliore equilibrio tra le parti voluto e preparato dal femminismo.
Ma che dire dell’allontanamento della madre biologica (ammesso che tale sia solo la partoriente)?  “Con una sostituzione che mette in crisi il senso del limite: quasi che il potere maschile tagliasse ogni vincolo tra i corpi e le relazioni”. E qui Paolozzi ricorda che Luisa Muraro ha parlato di omopatriarcato. Ma Vendola contesta questo neologismo “orribile”, che oscura una storia di violenze verso gli omosessuali e il carattere omofobo del dominio maschile. Pur avendo Muraro cercato di chiarire che intendeva indicare spazi da cui le donne sono escluse e non l’orientamento sessuale, rimane l’ambiguità del termine usato. Tanto più che l’appello contro la gpa è stato lanciato mentre si discuteva di unioni civili, e ha contribuito a impedire una discussione serena sul tema della genitorialità e sulla step child adoption.
Vendola propone di sfuggire alle generalizzazioni, maschi omosessuali impegnati a riprendersi il controllo sulla maternità o mondo omosessuale sempre attento alla parola femminista. Per lui, e per tanti, il femminismo è “stato un nuovo vocabolario”, capace di parlare e di offrire spazi di libertà a soggettività diverse. Non fa finta di non essere egli stesso un maschio, nè rimuove la complessità della questione gestazione per altri, i rischi di mercantilismo, la tentazione fallocratica. Ma la risposta non può essere la criminalizzazione di tutte le esperienze, la parola che condanna e ammutolisce quello che non condivide.
Così si torna all’intento da cui la pubblicazione partiva, mettere al centro le relazioni, capire le soggettività  coinvolte, elaborare, con sguardo femminista, un cambiamento che è già tra noi.
 
[1]   Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa (1998) L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie e norme, Pratiche editrice, Milano.
[2]   Cecilia D’Elia, “Gestazione per altri, le  figure in gioco”, Leggendaria 11/2016, pp 10-12
[3]    Democrazia e diritto, n. 1, 1996. Fascicolo in cui sulla gpa interveniva Maria Grazia Giammarinaro, “Diritto leggero e autonomia procreativa. La maternità di sostituzione”.
[4]    Si veda l’editoriale di Studi sulla questione criminale, n.2/2016
[5]    Per esempio in occasione della presentazione del numero di Studi sulla questione criminale organizzata dal  Crs
[6]    Laura Corradi, Nel ventre di un’altra. Una critica femminista alle tecnologie riproduttive, Castelvecchi, Roma 2017, pp.96.

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