Interventi

Ad un mese dalle elezioni parlamentari che hanno sancito il ridimensionamento dei Tories e la rimonta dei laburisti, il partito guidato da Corbyn, in crescente espansione, assume sempre più un ruolo da protagonista nel panorama politico, all’interno del quale si propone come nuovo alfiere della sinistra con aspirazioni governative.

Allo scopo d’individuare e di comprendere i motivi del successo e le reali prospettive di crescita del Labour e della sinistra in generale, ne discutiamo con Paolo Borioni, studioso di storia e di welfare nordico, professore di politiche europee e storia italiana alla Temple University di Roma e membro del comitato scientifico della Fondazione Giacomo Brodolini.

Partiamo da un argomento che riguarda le più recenti vicende inerenti le trattative per la Brexit. Il Labour Party appare fermo sulla sua posizione di manterere un buon rapporto con l’UE che garantisca i diritti dei lavoratori secondo gli standard europei. Quali sono le principali novità occorse durante i colloqui?

L’elemento più interessante mi sembra il fatto che il delegato per la Brexit del gabinetto ombra Keir Starmer abbia dichiarato che, se il governo non dovesse offrire garanzie sui diritti e sul coinvolgimento parlamentare nelle trattative, il Labour voterebbe contro il provvedimento per la formalizzazione dell’uscita dall’UE1. Potrebbe trattarsi solamente di una tattica per indebolire ancora di più i Tories, ma due punti mi paiono decisivi.

Da un lato, la proposta di includere i diritti dei lavoratori europei lo statuto dei lavorati europeo all’interno dell’ordinamento britannico.

Una novità assai rilevante in un paese che non possiede una vera e propria costituzione scritta e che si rifà ad un complesso di principi giuridici e consuetudini per sostenere il proprio impianto istituzionale.

Esatto. Dall’altro, a livello più sostanziale, l’attenzione dedicata ai diritti ed al buon rapporto con i partner europei definisce il tipo di sovranità che i laburisti progettano di realizzare.

La sovranità è un elemento centrale e molto dibattuto in tutto il contesto europeo. Generalmente vista però come prossima all’anti-globalismo ed al protezionismo degli euro-scettici. Mentre il Labour è più correttamente identifcabile come piuttosto un euro-critico.

Certamente, nell’ottica ragionevole del partito laburista c’è la necessità di un ripensamento della sovranità, che sia utile ad espandere l’indipendenza economica ed a favorire migliori condizioni lavorative, in un equo rapporto di relazione con gli altri Stati.

Una visione che vede nella sovranità dunque un modo non per chiudersi al mondo, ma anzi per aumentare gli spazi di dialogo ed alimentare una democraticizzazione dell’economia. In opposizione quindi alla classica visione nazionalista e nella sostanza neo-liberista delle destre.

La questione è esattamente la riformulazione della sovranità, che si genera attraverso lo scontro dialettico fra due idee di paese. La concezione laburista vede nel rafforzamento dei diritti dei lavoratori e degli strumenti di una democrazia più partecipata una leva di sviluppo essenziale, anche ma non solo economico.

Questo aspetto mi sembra una significativa novità, in un contesto nel quale domina il pensiero secondo cui la sola leva dell’espansione economica, quindi di crescita della ricchezza, sia capace di generare in maniera più o meno indiretta l’aumento dei diritti e delle condizioni di benessere. Mentre è considerato inutile se non dannoso qualunque intervento di matrice pubblica.

Certamente è centrale nella concezione laburista l’idea che l’azione pubblica rafforzandosi possa accrescere il potere del lavoro, migliorandone direttamente sia le condizioni, sia la capacità d’intervento nell’ambito della decisione politica ed economica. È quindi sottolineata la necessità di una funzione pre-distributiva, e non solo re-distributiva.

Gl effetti positivi da un punto di vista elettorale di questa proposta riformatrice si sono già palesati.

Esatto, il caso più emblematico è proprio quello scozzese, dove il Labour è riuscito a recuperare molti elettori, migrati in questi ultimi anni verso SNP, fautore a sua volta di una visione sovranista ed indipendentista in opposizione al sistema neo-liberista inglese. La credibilità di una proposta che rinnova l’idea di sovranità ed introduce l’ipotesi di un costituzionalismo formale, quanto meno parziale, ha sicuramente favorito tale recupero.

Un recupero tuttavia ancora parziale, visto che una parte dei voti di SNP sono invece andati ai Tories e ai conservatori scozzesi dello Scottish Conservative and Unionist Party2.

In Scozia i partiti conservatori grazie alla loro espansione sovranistica a destra hanno inglobato lo UKIP e sono riusciti a raccogliere i consensi di una buona parte degli elettori delle classi popolari più svantaggiate dalla globalizzazione.

Sicuramente il panorama politico è molto complesso e la conquista dei seggi segue processi talvolta segnatamente singolari ed inattesi. Proprio in merito a questa questione la Fabian Society ha svolto un’indagine atta a mettere in luce la varietà dello spettro demoscopico e delle dinamiche che potrebbero consentire al Labour di ottenere la maggioranza alle prossime elezioni3. Sebbene in un primo momento i fabiani fossero scettici nei confronti di Corbyn, ora appaiono più ottimisti verso un futuro successo del Labour Party, soprattutto in Scozia.

Lo swing sui 64 seggi da ottenere per raggiungere la maggioranza alla Camera dei Comuni è indicato fino al 3%. Gli scranni da sottrarre appartengono per lo più, oltre che naturalmente al partito conservatore, proprio ad SNP, i cui elettori hanno una forte affinità ideologica coi laburisti e possono quindi essere con più facilità convinti a sposare il progetto innovativamente sovranista del Labour.

È però necessaria un’altra osservazione, riguardante nello specifico il partito laburista. In confronto a quanto è successo ad esempio in Italia o in Francia, anche nel periodo di maggiore distacco dalle classi lavoratrici, dunque durante la seconda parte della segreteria di Blair, il Labour ha subito una erosione meno violenta del proprio consenso tra gli elettori delle periferie e delle zone più disagiate del paese. Questo probabilmente per via della sua precisa identificazione, anche nominalistica. Labour è un grande nome, molto identificativo socialmente, quindi ideologicamente e valorialmente, anche grazie al continuo rapporto con le associazioni sindacali.

Questa sua identità si esprime, in maniera decisa sotto la leadership di Corbyn, soprattuto nei contenuti e non solo nei simboli. Non si tratta di una mera tecnica propagandistica dunque, ma si fonda su un saldo rapporto organico con la società e su una concreta proposta politica di rinnovamento, fedele ai propri principi costitutivi.

Tale tipo di proposta inoltre si poggia su un’argomentazione razionale, seria ed informata, che si raccorda anche ai valori fondamentali del liberalismo, distinto dal liberismo, volto alla tutela ed all’accrescimento della cultura e delle libertà personali. Potrebbe riferirsi proprio a queste caratteristiche il buon successo ottenuto dal Labour presso gli esponenti della classe media istruita, anche in quartieri molto benestanti come Kensington, interessati tra l’altro ad un soft-Brexit?

È rilevante puntualizzare il fatto che le classi medie siano state economicamente molto penalizzate dalla crisi ed in generale dal processo di ristrutturazione socio-economico neo-liberista. Un bene a loro molto caro e ragionevolmente percepito come fortemente a rischio è poi l’istruzione. In proposito, la proposta laburista si basa proprio sui due cardini dell’investimento nell’istruzione pubblica e della tutela del risparmio, in quanto prospetta un modello di economia a trazione più salariale, in cui è molto meno indispensabile l’indebitamento enorme tipico dei paesi anglosassoni.

Teniamo inoltre conto che con la Brexit è in discussione la questione dell’affidabilità delle previsioni per il futuro. Una trattativa d’uscita sconclusionata e fuori controllo potrebbe minare le certezze e la stabilità di cui la classe media sente il bisogno.

Non è un caso che il negoziatore dell’UE Michel Barnier si stia incontrando regolarmente per discutere di Brexit con Starmer ed altri membri importanti del gabinetto ombra come il Segretario per gli Affari Interni Diane Abbott, oltre che con Corbyn stesso4. Ciò a provare la crescente importanza che il Labour sta assumendo all’interno delle trattative.

Sulla base di tali considerazioni, si innesta allora una riflessione relativa proprio al voto, nella sua dicotomica essenza di voto d’appartenza e voto d’opinione, lasciando da parte quello di scambio. Se da un lato le consultazioni elettorali paiono evidenziare un significativo riassestamento delle classiche tendenze d’espressione, dall’altro per la prima volta dopo molti anni, la sinistra laburista pare essersi riappropriata di un proprio linguaggio politico, distinto da quello tipico del marketing liberista, del quale aveva adottato le forme e con esse i contenuti.

La semplificazione propagandistico-pubblicitaria non è però sostituita dal linguaggio di matrice populista, come può essere in parte quello di Podemos in Spagna, bensì da una retorica argomentativa, scientifica, lineare e precisa, maggiormente convincente anche verso gli elettori della classe media istruita.

Sicuramente Corbyn ci ha mostrato l’efficacia di una strategia comunicativa che proponga anche nella forma espressiva una distinzione d’argomenti. Indipendentemente dalle tecnicalità del marketing politico, un linguaggio che si concentri sulla valorizzazione dei propri contenuti possiede intrinsecamente una maggiore solidità descrittiva ed una più compiuta capacità di convincimento.

A ciò si aggiunge inoltre un elemento di credibilità implicita alla figura di Corbyn stesso, legata alla coerenza delle sua storia personale e politica. È stato capace di ripescare ed attualizzare un’identità storica del Labour non totalmente evaporata. Di nuovo, ciò differentemente da quanto invece non sono stati capaci di fare perlopiù gli altri grandi partiti europei d’ispirazione socialista.

Il rapporto organico con la base non ha dunque solo favorito l’affermazione di un profilo credibile, ma ha anche permesso alla dirigenza laburista di approfondire da vicino lo studio della realtà e di formarsi quindi una conoscenza informata e consapevole circa la situazione socio-politica nazionale.

A proposito di formazione politica, un’importante questione è proprio quella legata alle apparentemente opposte concezioni tra giovani ed anziani. Corbyn è riuscito a canalizzare il consenso dei giovani anche attraverso un’operazione d’istruzione e d’informazione, mentre i più anziani paiono essere nettamente schierati con il partito conservatore5. Dovremmo dunque attenderci, che, forti di tale formazione politica, i giovani di oggi rimangano pur crescendo sostenitori del Labour, od invece che col mero avanzare dell’età anagrafica e l’insorgere di differenti interessi e bisogni trasmigrino anch’essi verso i Tories?

È indubbiamente difficile risolvere tale quesito. Mi pare però probabile che gran parte dei voti dei giovani siano andati al partito laburista poiché essi si percepiscono nella sostanza come vittime del modello socio-economico vigente, si sentono dunque pur studiando parte integrante della classe lavoratrice. Il fattore anagrafico coincide quindi con quello sociale della presente contingenza storica.

La gran parte dei più anziani invece legata al partito conservatore è formata in buona sostanza dal vecchio elettorato della Thatcher, attratto dall’opportunità dell’arricchimento attraverso il piccolo investimento privato del capitalismo popolare, che apriva al risparmio di massa. Un consenso verso il centro-destra emerso dunque in quel contesto e consolidatosi nel tempo. A questi si aggiungono i delusi del Labour, lasciati indietro dalle politiche blairiane.

Guardando invece al voto degli elettori di età media, si registra un sostanziale equilibrio tra laburisti e conservatori. A segnalare che man mano che si è proceduto nel tempo a cominciare dagli anni ottanta le politiche neo-liberiste, connesse ad una progressiva ed incessante demolizione del welfare, perdono progressivamente consensonelle generazioni fra la popolazione.

Gli elementi analizzati permetterebbero inoltre di spiegare secondo una differente ottica anche il relativo insuccesso di Theresa May, la quale non solo ha condotto una campagna elettorale sbagliata nella forma, ma soprattutto ormai consunta e (sostituirei: respinta) inaccettata nei contenuti.

Il punto non è quindi che May abbia condotto una campagna elettorale sbagliata, secondo un’idea ossessivamente di marketing politico, il punto è invece che continuando a tagliare per forza si commettano assurdità. La ideologia neo-liberista ha delle debolezze strutturali, delle contraddizioni che emergono. Trenta anni fa Thatcher poteva tagliare un welfare ancora forte, ma inevitabilmente oggi si arriva appunto a tagli assurdi come la dementia tax. Il problema è strutturale, non di competenza elettoralistica. Non capire questo significa pensare che la politica neo-liberista non ha difetti o limiti, e che perde contro un socialista solo se sbaglia i tecnicismi o il leader.

Il fatto che Corbyn abbia messo in luce i nodi contradditori di tale ideologia e programma politico, gli ha permesso di creare una base di consenso solida ed in progressiva espansione, come in nessun altro grande paese europeo.

Chiaramente potremo verificare la fondatezza di queste ipotesi solamente di qui a molti anni.

Con l’avanzare del tempo, in un mondo comunque sempre più globalizzato, un altro aspetto politico strettamente connesso alla sovranità ed alla politica economica dovrebbe meritare più attenzione, ovvero quello del rapporto fra Stati.

Nell’epoca contemporanea, per mezzo dell’innovazione tecnologica soprattutto informatica, l’economia e segnatamente la finanza hanno assunto una forma aerea che trascende i confini statali e che quindi li scompone e li riassembla, in riferimento allo spazio d’uso dei capitali investiti e del lavoro adoperato.

In tale contesto il potere pubblico democratico per controbilanciare, contenere e dirigere il potere sovranazionale delle nuova economia, dovrebbe esercitarsi nella collaborazione congiunta tra Stati, in un’ottica dove l’oggi ancora derelitta politica estera divenga dunque la branca politica più rilevante?

Tale questione rientra sicuramente nel discorso già trattato della sovranità. Fino agli anni settanta vi era un buon bilanciamento fra controllo democratico e libertà economica. Il rapporto tra gli Stati era inoltre abbastanza aperto da permettere che un avanzamento nel campo dei diritti del lavoro e del welfare effettuato da una nazione, potesse portare beneficio anche alle altre. Tutti gli stati occidentali, seppur in maniera e grado differenti, erano allineati su questa concezione. L’apice si raggiunse appunto nei primi anni settanta, quando anche la Germania guidata da Willy Brandt si unì al gruppo delle grande social-democrazie occidentali.

In una prospettiva futura dunque è auspicabile che una nuova collaborazione fra Stati riesca a tenere sotto controllo la libertà di movimento dei capitali finanziari, rimpiazzando quel motore di crescita con quello prodotto dagli investimenti interni, in un rapporto di condivisione d’intenti e prospettive comuni.

La consapevolezza di quanto ciò sia necessario nasce dal fatto che tale modello garantirebbe una maggiore stabilità ed una crescita, non solo economica, più armonica e lineare alle varie nazioni.

Le grandi potenze emergenti come la Cina e l’India dovrebbero sicuramente incentivare la formazione di un’occidente più solido e pacificato, col quale sia più facile e fruttuoso rapportarsi sia commercialmente che culturalmente.

Per garantire ciò la maniera più giusta ed efficace è senza dubbio quella di spostare l’asse dell’economia da una base finanziaria ad una base di maggiore crescita salariale.

Queste considerazioni favoriscono un’ulteriore riflessione, centrata sull’identificazione dello scopo e della natura dell’economia. All’utile lucrativo della speculazione finanziaria si oppone infatti l’utile sociale d’accrescimento del benessere materiale generale, che dovrebbe rappresentare il fine intrinseco del sistema economico. È probabilmente proprio questo l’asintotico principio ispiratore delle auspicabili riforme politiche ivi prospettate.

Sicuramente si tratta di un progetto molto ambizioso, stante lo stato dei fatti.

È però importante ricordare che il pensiero neo-liberista si sviluppò e divenne dominante proprio partendo dall’Inghilterra della Thatcher, ed espresse le sue interconnesse velleità di espansionismo anche militare, icasticamente nell’episodio delle Falkland.

Presumibilmente quindi una nazione dal peso economico e soprattutto culturale della Gran Bretagna, nelle cui università continuano a formarsi le attuali classi dirigenti e la cui lingua è di fatto l’idioma internazionale del mercato e della scienza, se si orientasse verso il nuovo modello di sviluppo prospettato, potrebbe rappresentare un laboratorio ed al contempo una guida molto importante per una più inclusiva, pacifica e progressista politica globale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *