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L’impresa e il bagliore del lavoro vivo 2, 2013

Testo presentato dall’artista al programma di studi internazionale IASPIS (International Artists’ Studio Program in Sweden) di Stoccolma il 14 giugno 2013.
1. “…via via che il sole si spegne sorge nel crepuscolo la stella della sera, che illuminerà la notte. Il suo bagliore è quello di Venere. Su questo minimo bagliore riposa ogni speranza, anche la più ricca viene solo da lui.” Walter Benjamin
All’imbrunire in una scena lontana vedo apparire gli artisti del passato lavoro. Riconosco il bagliore. Ritorna la mia voce. Il tempo futuro non è il tempo di chi fugge. E’ il tempo che la tradizione degli oppressi attende che si compia. Gli artisti del passato lavoro partono agli inizi della modernità da un luogo dello spirito ancora sconosciuto. Bisogna andare avanti. L’impresa continua.
2. Il mio rifiuto del lavoro astratto in arte, diventato rifiuto profondo, è un gesto di artista. La scena lontana ora è qui. Vedo l’artista del passato lavoro in ginocchio, inclinato. Vedo in ginocchio anche l’operaio del rifiuto del lavoro. Come Engonasin è inclinato. Il gesto disegna una silhouette che si contorce nelle grazie delle linee orizzontali, che traccia un contorno. E’ La position agenouillée dell’artista greco, dell’eroe del passato lavoro, che oppone l’ultima resistenza. A Stoccolma porto la notizia tremante. Una nascosta e debole forza messianica segue la posizione del rifiuto. Questa si volge improvvisamente all’indietro, rovescia il luogo, imprime l’inversione redentiva. Scivola via nell’ora del passaggio. L’evento è davanti ai miei occhi. Ciò che vedo è una linea viva. E’ una linea di disegno, redenta. E’ qui, questa. Il punto d’incontro politico è un passaggio fulminante, una porta di accesso tra passato e presente. La classe operaia del rifiuto passa il testimone. E’ il bagliore. Oltre ogni dire.
3. Il secolo si chiude con il dominio del piano industriale sul lavoro in generale e indifferente. Stesso destino per l’arte, con la piattezza modernista. L’arte astratta e in generale è senza referenti. Poi oltrepassa la stessa arbitrarietà linguistica per farsi macchina totale. In arte alla fine del novecento il mezzo di lavoro, il medium, brucia. Emerge con violenza una macchina d’arte, in generale e ultramodernista. E’ la macchina che produce il qualcosa in generale. Questo qualcosa si muove militarmente contro l’artista. I dispositivi della macchina producono anche le caratteristiche immateriali e innaturali di questo lavoratore postfordista. Brucia il ricambio organico tra l’uomo e la natura. La produzione rimane un problema. Tu perdi, perdi mille volte, se non costruisci resistenza contro questa macchina e contro il suo dispositivo. La fabbrica enorme del qualcosa è nell’oltretomba del mondo delle merci e della finanza. Ora ti accorgi del mio affanno? L’arte che si pone al di fuori di questo dispositivo viene negata. Cos’è la mia vita d’artista? L’artista del rifiuto può resistere al qualcosa in generale? La “condizione di non-arte” è l’espressione con cui alla fine degli anni sessanta il modernismo rigettava con disprezzo questa resistenza. Non si era accorto però che tale condizione non era semplice non-arte. La condizione di non-arte, permanendo, portava alla luce il qualcosa in generale ma anche un artista senza nulla, combattente e antagonista in particolare. Iniziava nell’arte una lotta feroce e in parte segreta. Rimetteva in corsa il messaggero ontologico e apriva alla possibilità del lavoro vivo. Un torso di rivolta soggettiva, sopravissuto all’operaio massa, superava la sua stessa morte.
4. Nel tempo della distruzione del significato visivo, ben oltre la estetizzazione della politica e dell’installazione ininterrotta, l’arte è il fronte più avanzato del piano neocapitalistico, il vero laboratorio di gestione del lavoro morto. Riesco a vedere solo un lavoro vivo, quello estratto dalle viscere dell’oltretomba delle merci. Il lavoro vivo è in particolare, non in generale. Il capitale può essere sconfitto dal lavoro, dal lavoro vivo contro il lavoro morto. Il capitale fisso brucia e il lavoro morto rimane un enigma. Dopo la fine della centralità operaia sotto la cenere brucia ancora il lavoro. Nell’arte, nel suo moncone sopravissuto, nel suo torso eroico, è attivo il lavoro combattente. Ma attenzione. La strategia novecentesca del capitale è stata sempre quella di evitare lo scontro diretto con il lavoro. Ha cercato costantemente di stornare il lavoro, frammentandolo e disperdendolo. Tu non devi smarrirti, devi difendere ad ogni costo il lavoro vivo in arte. Questo è il luogo da cui io riparto per l’impresa. Nell’oltretomba del neocapitalismo devono precipitare i cieli dello spirito. L’artista con la linea viva guida il combattimento, libera il gesto di rifiuto, redime il lavoro e lo trasforma in lavoro vivo. In volo basso oltrepassa la piattezza ultramodernista. Il movimento dell’artista combattente è concreto. La sua immaterialità anche in questo testo cerca una natura in particolare. In questo modo la “condizione di non-arte”, dopo essere stata redenta, inizia a produrre significato come lavoro vivo, a divenire un possibile soggetto destinatario del pensiero rivoluzionario. “Il problema – dice Mario Tronti – non è ricostruire il movimento operaio ma farsene eredi”. L’artista del rifiuto non deve temere di parlare a nome del singolo. La porta stretta del passaggio bisogna attraversarla velocemente.
5. La linea viva segna uno scontro politico? Ora sono in posizione di combattimento. Dopo il rifiuto esiste in arte una organizzazione dell’antagonismo? E’ tempo di organizzare la linea di disegno? La linea viva è lavoro vivo. Questa linea, che non è né nella natura conosciuta né nel senso conosciuto, viene da un esterno. E’ un’astrazione che si muove in un’altra natura, a me ignota. Per i rivoluzionari russi l’organizzazione doveva essere un’astrazione in grado dall’esterno di sostenere la coscienza di classe. Posero il grande problema. La linea di contorno del disegno greco per Ernst Pfuhl è astrazione. La linea viva dove scorre? Non in uno spazio o una superficie in generale e indifferente ma nello spazio e nella superficie del lavoro in particolare, in una superficie in particolare. Qui va organizzata la sua esistenza. Lo spazio di combattimento del lavoro in particolare è in questa descrizione testuale, nell’oltretomba della pluralità dei soggetti del lavoro, nella fabbrica dei lavori frammentati, nel lavoro sans phrase. Questo è il medium in formazione sul quale scorre questa linea viva di disegno. E’ in un vuoto non in generale, in una natura non in generale. E’ la mia solitudine rovesciata, in particolare. Accanto a questa linea c’è il sentimento che la protegge e la affina, la “cosa fine e spirituale” di cui parla Benjamin nella quarta Tesi. Linea viva di disegno e sentimento sono insieme. La linea tuttavia è in una spazialità ancora ignota e oscura. E’ alla ricerca della natura in particolare.
6. Alois Riegl ha svolto un lavoro prezioso per il futuro delle percezioni e dei sentimenti. Ammonisce a controllare lo spazio delle percezioni. Se ti allontani da questa raccomandazione ad attenderti c’è follia e morte ingiusta, come per Otello. L’arte nei momenti di decadenza e di inclinazione si accorge quanto possa essere letale la separazione dei sensi senza redenzione. Il tatto cerca disperatamente la vista. Riegl fa tutto ciò che è in suo potere per non perdere la presa. Si accorge che quando la spazialità sfugge la lontananza può rivelarsi oscura. Io vedo quella lontananza auratica, non ostile ma redentiva. La vedo nel crepuscolo quando appare la stella della sera. L’aura sacra, lontana, di Benjamin è tale perché esterna? La linea di disegno porta con sé una speranza senza limiti. Mi accorgo che il mio sguardo è cambiato. La linea viva è così esterna da essere ben oltre il piano e il fondo. Non è mossa da qualcosa perché non è nella natura in generale. A Horta de Ebro nel 1909 la natura lontana apparve a Picasso non visibile, oscura. Era in generale. La linea viva invece muove una natura in particolare. E’ possibile vederla oltre lo scambio dei ruoli? Trenta maggio duemilatredici

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