pd-bandieraÈ tempo di voler bene al PD. A quello rappresentato in questa sala e a quello di milioni di militanti ed elettori che ci guardano col fiato sospeso. Il PD ha bisogno di cure, non si sente tanto bene. Chi lo ha fatto ammalare oggi vorrebbe proseguire come prima. Da quando è nato non ha mai vinto, anzi è andato sempre peggio alle elezioni politiche. Le sconfitte di ieri sembrano oggi dei successi. Magari avessimo i voti del 2008 che pure non bastarono per battere la destra. Magari avessimo i 19 milioni di voti del 2006 che pure non furono sufficienti per governare. Nella discesa non siamo mai riusciti a invertire la tendenza. Anche dopo l’ultima sconfitta del 25 febbraio abbiamo reagito come se non fosse successo niente. Quelli che due mesi fa si gonfiavano il petto, dicendo “siamo pur sempre il primo partito”, ora ci spiegano con la stessa sicumera che non abbiamo vinto le elezioni e quindi il governissimo è una scelta obbligata. Più che un obbligo è sembrato un desiderio inconfessabile. Non a caso realizzato con l’ipocrisia dei 101 tiratori ben poco franchi.

Ecco la verità più amara, che quasi non mi esce dalle labbra per quanto fa male. Berlusconi è stato più furbo dei nostri comandanti. In due mesi non ha sbagliato una mossa mentre i nostri non ne hanno indovinata una. Ha saputo passare all’opposizione di Monti e noi siamo rimasti col cerino in mano. È andato all’assalto del Palazzo di Giustizia ed ha vestito i panni dell’uomo di Stato. Ha fatto capire agli italiani cosa voleva sull’Imu e contro l’austerità europea. Lo abbiamo preso in giro per queste provocazioni, ma ora siamo costretti ad attuarle, anche perché in parte le volevamo anche noi ma non sapevamo dirlo meglio. Il nostro messaggio agli italiani è sempre stato vago: un po’ di equità e un po’ di lavoro non poteva bastare. Ora abbiamo due doveri, al governo e nel partito.
1. Dobbiamo liberarci dalla superiorità tattica della destra. Bisogna dire al paese cosa ci vogliamo mettere di nostro nel governo Letta. Ci viene subito da dire Lavoro, ma anche qui fuori dalla genericità e dal conformismo. Da venti anni invece di creare lavoro si scrivono leggi e si inventano incentivi fiscali sperando che poi la spontaneità del mercato faccia il resto. E siamo arrivati al massimo della disoccupazione. Per creare lavoro non bastano i legulei né i fiscalisti, ci vogliono imprese creative, amministrazioni efficienti e progetti fattibili: per ristrutturare diecimila scuole rendendole più sicure e accoglienti, non solo per i ragazzi ma anche per gli adulti; per recuperare la più brutta edilizia del secolo e curare l’ambiente; per trasferire nel mondo digitale la memoria della civiltà occidentale che custodiamo malamente; per sostituire alcune costose funzioni ospedaliere con reti territoriali di servizi. Ci vuole un Piano del lavoro per i giovani, non solo con la spesa pubblica, creando nuove convenienze per imprese private e sociali. Bisogna rompere il tabù che da tanto tempo impedisce di progettare e realizzare politiche attive del lavoro.
2. Dobbiamo riconquistare la fiducia degli elettori e dei militanti aprendo le finestre del partito per far entrare aria fresca. Molti vogliono dire la loro e controllare che non si ripetano altri errori. C’è un tumulto di passioni e di idee che chiede a noi parole di verità. Non deludiamo le attese. Sarebbe una diaspora definitiva e ci ritroveremmo al congresso più poveri e meno numerosi. Assemblee dei circoli e singoli iscritti avanzano le loro proposte. Chi le leggerà? Chi risponderà? Organizziamo un metodo nuovo di ascolto della nostra gente. La mobilitazione cognitiva di Barca deve realizzarsi già nella preparazione del congresso. Ci sono tecniche moderne e tecnologie adeguate per organizzare la partecipazione. Abbiamo centinaia di assistenti parlamentari e altrettante persone negli uffici stampa. Mettiamoli insieme per costituire una task-force specializzata che raccolga tutti i contributi e ne offra una sintesi alla prossima riunione di questa Assemblea.
Non è il momento di arroccarsi. Già negli anni passati le correnti hanno chiuso le porte per comandare meglio. Del Comitato dei fondatori del 2007 abbiamo perso tutte le personalità esterne, da Gad Lerner a Carlo Pietrini a tanti altri. Eppure, dovremmo riprovarci seriamente costituendo un Consiglio di Saggi, cercandoli negli ambienti sociali, culturali e territoriali del nostro elettorato. Sarebbe di aiuto al traghettatore. Epifani ha ringraziato i capi corrente che lo hanno candidato. Capisco la cortesia. Gli chiedo solo di utilizzare la sua esperienza e l’autorevolezza per non rimanere prigioniero della cortesia. Viene dalle organizzazioni sindacali, le quali nel ventennio sono state certamente più solide dei partiti. Per questo motivo quando il Psi vide il pericolo di estinzione si affidò, inutilmente peraltro, a due sindacalisti come Del Turco e Benvenuto. Nella transizione postcomunista Sergio Cofferati, proprio come capo della Cgil, tentò l’assalto alla leadership senza riuscirci. Anche l’ultima stagione della DC, quella dei Popolari, venne affidata al capo della Cisl, Franco Marini, che ebbe l’intelligenza di portarla nel PD. Poi il progetto non ha funzionato come avremmo voluto. Oggi, il compito del traghettatore è più breve, ma incombono sfide politiche che renderanno burrascosa la traversata. Per approdare sulla nuova sponda dovrà togliere il comando ai professionisti delle sconfitte.

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