Interventi

Non è bastato l’appello di migliaia di firme a suo sostegno per trasformare Conte in un vero Presidente del Consiglio. La narrazione delle gesta di un saggio timoniere che con “la prudenza e il buon senso” schiva gli “agguati” e resiste alle “insopportabili” ricostruzioni dei retroscenisti, ai “divisivi” rilievi degli opinionisti, alle puntualizzazioni formalistiche dei costituzionalisti (a proposito: può il Fatto, giornale principale del fronte governativo, conciare in quel modo Cassese?) non ha prodotto granché. La censura rivolta ai chierici del “ceto intellettuale” democratico, che “con show disinvolti e permanenti non fanno proprio bene al paese, anzi lo danneggiano”, non ha migliorato la capacità di guida.

Patetica poi è parsa quella recita a Ciampino del condottiero insieme al titolare della Farnesina che ha parlato della festa della mamma. Nel governo manca quella collegialità che in primo luogo proprio il Presidente del Consiglio dovrebbe garantire e questa carenza di leadership non è imputabile all’esiguo ceto intellettuale non allineato che va stigmatizzato perché con i suoi esercizi mentali “alimenta sfiducia e discredito”. Se l’esecutivo è un continuo braccio di ferro tra personaggi senza forza reale, una quotidiana arte del rinvio (sulla revisione dei decreti Salvini, sulla regolarizzazione degli immigrati, sul MES, sulla scuola) tra formazioni che non condividono quasi niente sull’idea di società non bastano le firme, che invitano al silenzio tutti gli insinuatori di dubbi, per risolvere i mistici arcani della dialettica e tramutare il nulla in essere, un avvocato in statista.

Il Manifesto intende dare sfogo a “un moto sdegnato di insofferenza, contro le critiche al governo” e in tal senso si fa interprete di una “opinione pubblica non minoritaria” che rigetta “le manovre politiciste finalizzate a far fuori questo governo”. In nome della “gente che guarda la tv” e mostra gradimento verso il capo che decreta, il quotidiano canta le lodi dell’avvocato (anzi Pasquino l’ha già promosso a magistrato, gran procuratore d’Italia) che “ispira fiducia, anche sul piano personale”. Da una parte ci sono dunque le forze nemiche che in nome di interessi inconfessabili, mentre fingono di descrivere scenari, in realtà sviluppano “il tentativo di orientare il quadro politico”. Dall’altra si distingue il non-politico solo, incontaminato e quindi autentico interprete di genuini sentimenti del popolo unito.

Dal punto di vista etico-politico è certo lecito firmare petizioni anche contro il proprio gruppo editoriale (accusato, appunto, perché nei sui articoli non si capisce “dove finisce l’analisi degli ‘scenari’ e inizia il concreto lavoro per contribuire a crearne i presupposti”), però ancor più apprezzabile sarebbe non scrivere più per organi graffiati in pubblico perché dediti a progetti così negativi, cioè a piani cospiratori e antinazionali. Spesso l’opportunismo tra gli intellettuali è da ostacolo alla linearità e alla coerenza.

La narrazione che il Manifesto propone è quella tipica dell’antipolitica per cui il capo piace “anche perché percepito come estraneo ai ‘giochi’ politici tradizionali”. Discende da questa peculiare raffigurazione, tecnicamente denominabile di segno populista, il culto del solitario eroe che peraltro “sta conducendo una strategia attenta sul versante europeo”. Contro di lui si organizza un perfido esercito nemico che non esprime opinioni ma conduce manovre, non nutre dubbi ma coltiva interessi. Il risultato inevitabile, date queste premesse chiaramente organicistiche e poco liberali, è l’invito, opposto al kantiano monito a non rinunciare mai all’uso pubblico della ragione contro qualsiasi autorità, a “stringersi attorno a chi, in questo momento, ci rappresenta e deve assumersi la responsabilità delle scelte”.

Con una caduta del consueto spirito di ironia che lo ha caratterizzato negli anni, il Manifesto rivendica la portata storico-epocale della pioggia di firme ricevute (“Questo archivio di mail potrà restare come un magnifico documento per gli storici di domani”). Ai più prosaici analisti di questo cattivo presente, rimane solo lo stupore dinanzi a una levata di scudi contro “gli attacchi personali ad un Presidente del Consiglio bollato come inadeguato”. Il detentore del potere politico più elevato che viene difeso dalle penne della “società civile” rientra in una ginnastica inedita, che sarebbe stato meglio non vedere.

Dice molto sulla qualità delle credenze collettive di oggi la leggerezza della rimozione per cui la sinistra “radicale” cancella senza alcuna remora gli atti legislativi e simbolici del Conte uno che politicamente configurano un vero “crimen inexspiabile” (la sudditanza a Salvini e ai suoi decreti sicurezza è all’origine della creazione della sua irresistibile ascesa). Non contenta di sorbire le gesta del Conte due, in sella per puro stato di necessità e assenza di alternative, che prosegue in perfetta continuità con la precedente fase di governo (rivendica come segno di innovazione la legge spazzacorrotti, la norma ammazzavitalizi, l’annullamento della prescrizione e le disavventure di Bonafede) la sinistra radicale si mobilita per incoronare il Conte tre.

Il mistero del problema trinitario viene finalmente risolto: uno, due e tre allo stesso tempo e in unica persona. La identità, la non-contraddizione, il terzo escluso, tutte baggianate aristoteliche, le aporie della metafisica occidentale sono sciolte dal premier del popolo, che con sottigliezza teologica è capace di stare con tutti, di fare tutto e di rimanere da solo al comando. La miseria della sinistra italiana, in angoscia per le inopinate critiche al cultore delle icone di padre Pio, è tale che nei giorni scorsi sul Corriere è apparso un articolo per il quale tranne Di Vittorio “i comunisti italiani hanno le mani sporche di sangue”. Non è questa un’opinione dura ma pur sempre esprimibile, è un reato contro la memoria, l’onore di una grande tradizione. Ma nessuna delle fondazioni che pure ricevono i soldi per celebrare il centenario della nascita del Pci è insorta incaricando buoni avvocati (non del popolo) per difendere le ceneri di Gramsci.

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13 commenti a “È ancora possibile criticare Conte senza essere un nemico del popolo?”

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