Un articolo di Nicole Bolleyer (University of Exeter, UK) e Anika Gauja (University of Sydney, Australia) estratto da “Party Politics”, n. 19 (2013); traduzione dall’inglese di Fabio Vander
Quella del finanziamento pubblico dei partiti politici è una questione cruciale in molte democrazie, non solo in quelle dove sono emerse pratiche di finanziamento sospette. L’importanza dell’argomento ha portato ad una serie di studi comparativi sulla dipendenza dei partiti da risorse statali in alcune democrazie avanzate; questi studi sono per lo più volti ad approfondire il tema dei finanziamenti diretti dello Stato e della loro regolamentazione giuridica. Ma esistono anche altre pratiche di finanziamento, come quelle indirette. Ora questi modi indiretti con i quali i partiti politici accedono alle risorse di cariche pubbliche, hanno ricevuto relativamente poca attenzione negli studi comparativi. Tali pratiche sono di rado regolamentate legalmente e anzi rientrano in processi intra-organizzativi secondo modalità informali e spesso nascoste. Questo articolo analizza un modo di operare dei partiti assai diffuso seppure troppo trascurato: la raccolta della “tassa di partito”, nota anche come ‘decima’. In molte democrazie occidentali, membri del partito eletti in cariche pubbliche sono infatti tenuti a versare regolarmente una quota fissa dei loro emolumenti nelle casse del partito. In altre parole, molti partiti traggono una rendita dai loro rappresentanti parlamentari, che dunque costituiscono per loro una fonte di reddito. Dal momento che lo Stato paga questi emolumenti (sono i Parlamenti stessi a definirne l’entità), tali trasferimenti sono stati anche interpretati come una forma di finanziamento statale indiretto o finanziamento ’quasi-pubblico’. Queste entrate vanno ad integrare (e talvolta sostituiscono) il sostegno diretto da parte dello Stato, ma possono costituire una parte considerevole del reddito del partito. In Germania, ad esempio, questo tipo di ‘tassa’ rappresenta circa il 10 per cento delle entrate dei partiti politici; ma costituisce una fonte fondamentale di entrate anche in Lussemburgo e in Polonia. Questi pagamenti hanno minore rilevanza nelle cosiddette democrazie-Westminster, anche se possiamo trovare partiti come il Sinn Fein, il cui reddito complessivo è addirittura dominato dai contributi dei parlamentari. Diversamente dalla maggior parte della letteratura corrente, che concettualizza il finanziamento dei partiti (e con esso le ‘tasse’ di partito) esclusivamente da un punto di vista giuridico-formale, questo articolo affronta il problema da un punto di vista organizzativo. Così più che considerare le ‘tasse’ di partito come una forma di finanziamento statale indiretto, sosteniamo che l’analisi comparativa di un certo insieme di partiti e sistemi di ‘tassazione’ di partito, offre preziose informazioni intorno a quelle variazioni dei rapporti di forza nelle dinamiche intra-partito, che altrimenti la ricerca sui partiti fa fatica a catturare. I partiti politici infatti differiscono fra loro; intanto si distinguono fra quelli che raccolgono le ‘tasse’ dai propri eletti e quelli che no; poi fra quelli che trattengono di più o di meno; infine fra chi chiede contributi a tutti i parlamentari e chi solo a quelli che occupano le cariche più alte. Di regola le ricerche in materia non tengono conto di queste differenze – né in punto di teoria né empiricamente. Mettendo in relazione la comparatistica in fatto di finanziamento della politica e l’organizzazione dei partiti, questo studio si concentra sugli emolumenti dei parlamentari nazionali in quanto potenziale risorsa del partito. Verranno specificate le condizioni che permettono (o impediscono) alle élite extraparlamentari di ottenere finanziamenti dai loro parlamentari, chiamati a devolvere sistematicamente parte del loro stipendio. Sono stati analizzati 25 partiti in cinque democrazie consolidate ‘Westminster’ (Regno Unito, Irlanda, Canada, Australia e Nuova Zelanda), che sono attualmente rappresentati nella prima Camera ad elezione diretta del parlamento federale. Le democrazie Westminster forniscono infatti un contesto particolarmente interessante per lo studio della relazione tra la finanza di partito e la sua organizzazione. Le norme dei sistemi ‘Westminster’ che sanciscono la supremazia del parlamento e della rappresentanza eletta, creano un ambiente istituzionale tale da privilegiare il ruolo del partito negli affari pubblici (PPO) e delle singole personalità al di sopra del partito. Studi approfonditi sui cambiamenti organizzativi che hanno investito le strutture di partito hanno convincentemente segnalato un indebolimento generale dell’organizzazione extraparlamentare (EPO), rispetto agli eletti (e ai loro contributi). D’altro canto un’attenta valutazione dei pagamenti sistematici delle strutture pubbliche alle organizzazioni di partito, rivelano che le relazioni di potere sono meno unilaterali di quanto si pensi. Nel senso che la ‘tassa’ di partito, nella misura in cui permette all’apparato di trarre risorse dai parlamentari, esprime in verità un rapporto di potenza inverso. Di conseguenza, il loro studio può aiutarci ad arrivare ad un quadro più differenziato e sfumato delle relazioni intra-partito (in primis proprio fra parlamentari ed apparato). Il documento è strutturato nel modo seguente. In primo luogo, proponiamo un approccio teorico a partire da tre ipotesi relative ai tre aspetti fondamentali dell’uso degli stipendi dei parlamentari come risorsa del partito: 1) la presenza di un obbligo a pagare la ‘tassa’, 2) l’entità della ‘tassa’, 3) quale settore del partito si giova maggiormente delle risorse della ‘tassa’. Dopo aver giustificato i metodi utilizzati, proponiamo una mappatura delle diverse tipologie di tassazione dei 25 partiti analizzati. L’analisi rivela forti differenze tra i partiti all’interno di ciascuna delle democrazie studiate, a seconda dell’importanza della famiglia politica del partito, dell’ideologia, del cleavage federalismo/centralismo; questo anche trascurando altri fattori sistemici, quali la disponibilità del finanziamento statale diretto, il livello di retribuzione parlamentare, le differenze fra i modelli di ‘tassazione’. In conclusione verranno discussi alcuni degli indirizzi di ricerca degli studi sulle strategie di finanziamento dei partiti politici, sulla loro ripercussione sulle strutture organizzative, ecc. (…) Se anche la famiglia generale a cui un partito politico appartiene fornisce un buon indicatore per valutare la sua capacità di tassare i propri parlamentari e quindi il rapporto tra peso dello Stato e organizzazione, quale differenza può essere determinata, dal profilo ideologico, in famiglie politiche in cui partito e ideologia sono strettamente correlati? E’ nota la frattura sinistra-destra nei partiti delle democrazie in cui esistono pratiche di ‘tassazione’, nonché l’entità dei contributi che ci si attende dai parlamentari nazionali; in questo quadro risulta (con l’eccezione dei Liberal Democratici, unico partito a tassare esclusivamente i consiglieri comunali) confermata la tendenza secondo la quale i contributi sono più alti fra i partiti di sinistra, mentre l’irlandese Sinn Fein costituisce un caso estremo, dal momento che tassa i suoi titolari di cariche pubbliche ad un tasso che li lascia a livello del salario medio di un operaio dell’industria (circa il 67 per cento). La logica di queste pratiche è poi talmente stringente che viene imposta una totale uguaglianza fra gli attivisti che lavorano per il partito senza alcuna compensazione finanziaria e quelli che invece ricevono, grazie al contributo che il Parlamento riserva ai Gruppi, un generoso stipendio. Perché il Sinn Fein sottopone a ‘tassazione’ anche gli stipendi degli assistenti dei parlamentari. In particolare la pratica di mettere gli emolumenti dei parlamentari allo stesso livello del salario di un lavoratore industriale, è invalsa ad esempio nel Partito socialista irlandese (attualmente presente solo nel Parlamento europeo), ma anche nei partiti comunisti europei (ad esempio in Francia ed Italia). Di norma i partiti di sinistra sono portati a tassare i parlamentari, quelli di destra no. Quanto ai Verdi di regol
a ‘tassano’ ad alto livello i loro rappresentanti, sul modello dei partiti comunisti; questo risponde all’esigenza dei Verdi di esercitare un controllo sui loro titolari di cariche, per evitare il distacco degli eletti dalla base. Quanto ai partiti democratici, il quadro è più variegato, si va dal meccanismo di cui sopra, per assicurare eguaglianza e collegamento fra eletti e base, ai tentativi più pragmatici per garantire i finanziamenti di volta in volta, per una determinata campagna o un evento. Ad esempio nel 2006-2007 il partito laburista neozelandese ha deciso di tassare integralmente i suoi parlamentari per aiutare a restituire una quota di finanziamento parlamentare che il Revisore generale aveva considerato spesi illegalmente (operazione nota come ’la grande colletta’). Dunque la posizione ideologica delle singole parti politiche è un buon indicatore delle differenze fra i vari paesi, senza però trascurare il fatto che anche entro una singola parte ci sono differenze. Ad esempio il partito laburista irlandese, che pure si trova più a sinistra degli omologhi neozelandesi o australiani, tassa di meno i suoi parlamentari rispetto a questi. Un tale risultato conferma la tesi che ci sono due fasi: la forza organizzativa è il primo elemento cruciale nella creazione di un regime fiscale, ma l’ideologia aumenta la disponibilità dei parlamentari a cedere una quota relativamente maggiore o minore del loro reddito in un dato contesto organizzativo. Tuttavia, mentre le parti di una data famiglia politica rivelano analogie nelle loro relazioni tra statale e politico in tutte le democrazie, la forza di una organizzazione del partito e la centralizzazione del potere all’interno di esso sono ancora influenzati dal rispettivo assetto istituzionale e in particolare dalla dimensione federale. (…) In conclusione in questo articolo per mappare le pratiche in voga, abbiamo sviluppato una tipologia delle regole di ‘tassazione’, a partire da due livelli fondamentali: orizzontale (tassazione dei parlamentari nazionali) e verticale (‘tassazione’ estesa a tutti i livelli). Si è potuto stabilire che le ‘tasse’ di partito costituiscono una sorta di obbligo organizzativo, ma con differenze a seconda delle famiglie politiche: socialisti, verdi, cristiano-sociali e cristiano-democratici hanno la tendenza a tassare i propri parlamentari, mentre i partiti liberali e conservatori per lo più si astengono dal toccare gli stipendi dei loro parlamentari. Allo stesso modo, l’ideologia del partito è un fattore che contribuisce alla socializzazione fra i deputati e dunque influenza la loro disponibilità a pagare, con i parlamentari socialisti e verdi disposti a versare le somme maggiori. Si è inoltre riscontrato che nei sistemi federali è il livello regionale il principale beneficiario delle imposte ricevute, tanto dai deputati nazionali quanto regionali. Altre variabili istituzionali esterne (il sistema elettorale, gli stipendi parlamentari e i regimi di finanziamento statali) sembrano invece pesare meno. Lo studio delle pratiche di ‘tassazione’ e il modo in cui vengono gestite all’interno dei singoli partiti ci ha dato dunque un quadro più sfumato delle dinamiche interne ai vari partiti e dei modelli di autonomia e controllo, che è particolarmente interessante con riferimento ai partiti di modello Westminster, solitamente ritenuti dominati dalle strutture pubbliche e statali. Pertanto, l’adozione di regimi di tassazione di partito fornisce un indicatore importante circa le caratteristiche del rapporto orizzontale tra la dimensione statale e quella invece extraparlamentare della struttura di partito, particolarmente in ambienti istituzionali che privilegiano la dimensione statale. Contemporaneamente, lo studio fornisce spunti in ordine ai rapporti di forza verticali tra le unità del partito che operano a diversi livelli, che variano notevolmente nei cinque regimi riguardati, anche quando si confrontano soggetti appartenenti alla stessa famiglia politica (si pensi alle differenze tra il partito laburista australiano e neozelandese del Lavoro). Inevitabilmente questo studio può essere solo un primo passo e viene richiesto un ulteriore lavoro in profondità. Infatti anche se esiste una serie di opere che si occupano di pratiche di ‘tassazione’, soprattutto nella letteratura di lingua inglese, è necessario un maggior lavoro comparativo, in particolare su come la modalità di pagamento viene applicata, un problema che questo articolo ha potuto solo sfiorare. I risultati della ricerca rivelano che sia i meccanismi di controllo organizzativo dell’effettuazione dei pagamenti, sia la volontà (cioè, la disposizione ideologica) dei parlamentari, hanno entrambi il loro peso, ma importante è anche la capacità di una parte di reclutare e preselezionare persone pronte ad accettare tali norme. Con la presentazione di questa prima ricerca sulle pratiche di ‘tassazione’ di partito, abbiamo cercato di sottolineare un bisogno più generale nel campo della politica di partito: rendere più stringente il lavoro comparativo sul rapporto fra finanze di partito e organizzazione dello stesso -temi finora tenuti distinti-. Ora la gestione altamente sensibile delle finanze all’interno di un’organizzazione ci dà spunti importanti circa l’organizzazione interna dei partiti, che possono aiutarci a capire meglio il loro funzionamento. Viceversa, se gli studiosi delle finanze di partito puntano a guardare oltre il mero finanziamento statale diretto e la sua regolamentazione giuridica, per valutare l’interazione tra unità del partito distinte (e a volte contrastanti) ovvero gli obiettivi perseguiti all’interno di una stessa organizzazione, diventa essenziale capire se e come un partito nel suo insieme tenti di accedere a risorse indirette o informali (o anche illegali). Si pensi al caso del trasferimento delle sovvenzioni destinate ai parlamentari direttamente nelle casse del partito, una pratica assai discutibile eppure – almeno in alcuni paesi – ampiamente usata. Lo studio delle norme giuridiche può dirci se c’è margine di manovra per interpretare la destinazione, per grandi linee, delle varie risorse, ma se si vuole capire se e come i partiti usano questa ambiguità a loro vantaggio, occorre andare oltre le norme ed esplorare la vita interna dei partiti politici come attori organizzati.

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