Interventi

“I Neoplatonici di Aristeo di Megara è una di quelle favole milesie, di cui i delicatissimi Elleni tanto si dilettavano», così scrive Luigi Settembrini, che se ne dichiara traduttore («e perché bella opera d’arte è tradotta in italiano»). E riflette che «noi uomini moderni abbiamo tutti i vizi degli antichi Elleni, e forse anche più e maggiori, ma li nascondiamo non so se per pudore o per ipocrisia: quelli non nascondevano nulla». Infatti, aggiunge, «uno dei caratteri principali dell’Arte greca è questo che ella non è ipocrita, non nasconde nulla, rappresenta l’uomo qual è».
Settembrini, autore nel 1847 del manifesto politico Protesta del Popolo delle Due Sicilie, condannato da Ferdinando II alla pena di morte commutata in ergastolo, per un decennio, fino al 1859, è ristretto nel penitenziario di Santo Stefano.
Carcere duro durante il quale attende alla traduzione delle opere di Luciano di Samosata (circa 125-185 d.C.). Ed è per certo la lunga consuetudine con la pagina di Luciano che induce Settembrini a narrare dei due giovani ateniesi, Callicle e Doro.
A dare vita, in modi ispirati alla narrativa lucianea, all’amore che lega Doro a Callicle e Callicle a Doro. Non dobbiamo, infatti, I Neoplatonici a l’inesistente Aristeo di Megara. È Settembrini l’autore dell’incantevole racconto.
Poche pagine scandite in otto ‘capi’, perfette. E perfetto l’amore tra i due giovani che affiora all’epoca della loro infanzia e nell’adolescenza sboccia e poi, delicatamente, li prende per tenerli uniti nell’arco della vita.
«Venne il giorno delle nozze, che furono doppie e lietissime. Callicle sposò Psiche, Doro sposò Ioessa. (…) ciascuno d’essi amò ed onorò la donna sua. Pure, essi si amarono sempre tra loro, e sino alla vecchiezza di tanto in tanto per qualche occasione trovandosi nel medesimo letto confondevano i piedi e si abbracciavano come nei primi anni della loro giovinezza».
Riferendosi alla autobiografia di Settembrini, Ricordanze della mia vita, della quale cura nel 1879 l’edizione postuma, Francesco De Sanctis rileva che «c’è una malia per entro a queste pagine, che ti rende gli oggetti vivi, mobili, rapidi, e danzano e ti circondano, e non ti lasciano requie. E chiudi il libro e quelli stanno lì e non li puoi mandar via e si fissano, prendono posto nella tua immaginazione». Il medesimo effetto producono le brevi pagine de I Neoplatonici. Intanto l’esigua misura dell’opera ne consente una presa di possesso che, nella successione stretta degli otto capitoletti, quasi non ti avvedi di ricevere intera, integra, dirò tutta assieme. Una costante luce, chiara e intatta, calda e d’un tepore primaverile pervade ogni parte del racconto, conferendo alle vicende un nitore e una nettezza che, ad uno stesso tempo, oltre alla resa stilistica della scrittura, conferiscono alla storia la tenuta narrativa e quel tratto che vorrei definire di elevatezza morale. Raro, inconsueto tratto quando, come ne I Neoplatonici, si descrivono sentimenti che morbosità e convenzioni sfigurano e deturpano. Da Settembrini sei messo a parte della vicenda amorosa, ne vieni a conoscere ogni particolare quasi tu fossi invitato ad assistere, senza far rumore e non visto, a quei sereni e delicati incontri. E, poi, ad intendere emozioni e turbamenti dei due amanti nella pienezza calma ed intensa delle loro estatiche giornate. E ti balza pulsante innanzi il corpo della giovinetta Innide, «coi capelli neri e gli occhi vivi», che discopre a Doro e Callicle nuovi diletti. Ha scritto con finezza Francesco Flora di Settembrini: «il suo occhio, nel guardare persone e oggetti, coglie l’un dopo l’altro i particolari: e la sintesi non è se non quel succedersi spaziale che in fine ti si offre come un orizzonte. La sua prospettiva è però interiore e non ottica».
I casi dei giovinetti ateniesi, dunque, viatico alla conoscenza dell’animo umano.
Settembrini non pubblicò il racconto. L’autografo de I Neoplatonici resta inedito, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, fino al 1977, quando il grecista Raffaele Cantarella cura la stampa «dello smilzo fascicoletto di poche pagine» presso l’editore Rizzoli, con una introduzione di Giorgio Manganelli.
Nel 2001 Sellerio lo ristampa con una nota di Beppe Benvenuto.

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